Aftersun - Charlotte Wells



Uno scanzonato viaggio in Turchia di un padre con la propria figlia nasconde, vela e implica le sferzanti nubi di un cupo avvenire. Tutto assume i contorni del gioco, del riso, della superficie. Pazienza se la stanza prenotata non è la stessa che hai concordato, non importa se a tua figlia scivola sul fondo del mare la costosa maschera per le immersioni, anzi pur non avendo tanto in tasca forse ci si può pure prendere lo sfizio di acquistare un elaborato tappeto turco da piazzare sotto i piedi del letto in hotel. Il futuro non preoccupa più di tanto quando non si vede più oltre l'immediato presente. Certo però occorre sforzarsi di mantenersi allegri, di non perdere il sorriso, anche quando intorno non c'è più niente per cui ridere... perché? perché accanto a te c'è la persona più importante della tua vita e stai cercando di imprimerle il miglior ricordo possibile prima di andartene per sempre. 

La faccenda è semplice ma complessa, e la Wells la descrive con una delicatezza che commuove fino alle lacrime. Non ci attanaglia di domande sul perché, sulle ragioni e sugli esiti della vicenda, il film è una meditazione sulla vita, non sulla morte, che vuole solo narrarci la bellezza e la profondità degli ultimi istanti. E lo fa attraverso l'impiego di un nastro vhs che vediamo srotolarci di fronte agli occhi, che rappresenta l'ultimo regalo che ha voluto fare un padre oberato e ormai alle corde, vinto da un male sinistro, oscuro. Nella cassetta si vedono due persone che si prendono cura l'uno dell'altra, non a caso aftersun è ambiguamente tanto la crema solare che spesso si chiede di spalmare agli altri nei punti in cui uno non può arrivare da solo, ma designa altrettanto l'oscurità del sole dopo lo zenith. Chi srotola questo nastro? Chi dipana questo stretto segmento di vita? Una figlia che vent'anni dopo torna ad ammirare queste sequenze, cercando di fermare i momenti di quegli attimi di fugace e semplice felicità delle piccole cose. Come ricordate le persone che avete visto sparire? Quanto c'è di oggettivo di realistico nell'ultimo ricordo? La memoria non è che un certo concatenamento di idee implicanti la natura delle cose, e tale concatenamento non può dirsi certo oggettivo, perché tali idee sono immagini mentali e come tali un costrutto artificiale. Charlotte Wells ci suggerisce infatti, che l'immaginazione distorce e modifica alcuni dati, per questo Sophie riproduce con fedeltà nel suo teatro mentale il padre nel suo maglione a strisce verticali, al momento del suo ultimo commiato, ma lo disloca non all'aeroporto dove si sono salutati, bensì in una fantomatica discoteca, sotto un fascio di luci stroboscopiche impegnato in un ballo scatenato e liberatorio. Sono le stesse mosse di danza di cui Sophie si vergognava all'inizio del vhs? La memoria fa brutti scherzi, e in questo sogno allucinatorio c'è qualcuno che forse cerca di trovare, afferrare e poi mettere in salvo il proprio padre, che vediamo impegnato in una danza sciamanica forse nell'atto di esorcizzare e allontanare i suoi demoni, il suo corpo si contorce, le sue membra si irrigidiscono, è l'ultimo frame di un ricordo che si riproduce sulle note della meravigliosa under pressure:

"Pressure pushing down on me
Pressing down on you no man ask for
Under pressure
That burns a building down
Splits a family in two
Puts people on streets
It’s the terror of knowing
What this world is about
Watching some good friends
Screaming “let me out”
Pray tomorrow gets me higher
Pressure on people
People on the streets
Chipping around
kick my brains on the floor
These are the days
It never rains but it pours"

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