Dogs don't wear pants - J-P Valkeapää


In "50 segreti magici per dipingere" Salvador Dalì racconta uno dei suoi stratagemmi per accedere all'ispirazione pittorica. Appena sente il bisogno di coricarsi, l'artista si siede su una sedie scomoda stringendo tra le dita una moneta o un oggetto metallico, posizionando al di sotto un piatto anch'esso in metallo. Al sopraggiungere del sonno, la mano allenta la presa, l'oggetto cade, il suono ridesta l'artista caduto nel torpore. Secondo l'artista catalano, questo era il miglior modo per rappresentare l'attività onirica, quell'istante particolarmente fertile e caotico che precede l'abbandono al sonno. Forse proprio in uno dei suoi capolavori ovvero in "sogno causato dal volo di un 'ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio", ha voluto catturare la violenza del tornare cosciente, la fine traumatica dei sogni.

E' a quello stesso sottile istante di fervida produzione onirica, di abbondanza di forme, di ricordi e di passioni a cui si aggrappa Juha, un cardiochirugo, vedovo, protagonista del film di Valkeapaa. Quando incontra Mona, artista e dominarice, viene condotto in un rituale BDSM che diventa un viaggio nel proprio trauma. Nell'attimo prima della perdita di coscienza dovuto a soffocamento praticato da Mona, Juha riesce ad intravedere, in una sorta di sogno cosciente, sua moglie morta annegata molti anni prima. Proprio come per Dalì, è la sensazione di un attimo, quello che intercorre tra il possesso di una sfera nelle sue mani e il momento in cui egli la lascia. Il segnale che per la professionista della dominazione significa allentare la presa e risvegliare il proprio paziente, ma che per Juha significa finalmente pace e salvezza, fare i conti con i propri fantasmi e i propri rimorsi. 


Quello che dapprima è reiterazione di dolore, una strada lastricata di umiliazioni e sopraffazioni diventa il percorso per ricondursi a se stesso, cosciente della propria lacerazione interiore. Egli diventa uno schiavo, ma sempre più consapevole della propria condizione. Come scrive Spinoza, infatti, tutti gli individui sono schiavi delle proprie passioni, poichè ogni individuo è affetto in molti modi dai corpi esterni e le idee che egli si fa di quei corpi non sono la fotografia oggettiva della realtà, ma ciò che quei corpi rappresentano per lui. Da ciò deriva la schiavitù delle passioni: ogni individuo tende a perseverare nel proprio stato, opponendosi agli effetti degli altri corpi, ma costruisce necessariamente idee inadeguate, fondate sulla propria affezione piuttosto che sull’essenza dell’altro. Perfetta, in questo senso, è la scena in cui Juha – ricomposto nella sua ferita e nella consapevolezza della propria perversione-schiavitù – sfila nel locale tra altri schiavi depravati sulle note di Love in Rimini di Peter & The Magician. Viviamo tutti, sembra dirci Valkeapää, necessariamente schiavi delle nostre passioni.
È questo fraintendimento originario a guidare Juha verso Mona, a rendere quella ferita palpitante non solo una fonte di dolore, ma un varco attraverso cui passare. Il voler reiterare il dolore non è solo fuga, ma gesto di ricerca e di autoconservazione.

Il film di Valkeapaa somiglia ad una spinosa rosa nera, depurato dell'eccesso e sfogliati i petali delle umiliazioni, delle violenze e delle scene grottesche e visivamente difficili, si arriva al cuore di un amore impossibile e tenero costruito su una ferita aperta e sanguinante, su un vuoto che chiede di essere abitato, non guarito.
Sia Juha che Mona possono infine sorridersi affettuosamente, come due anime nere, perse, rotte ma che ora nel riconoscimento della propria fragilità hanno trovato il fondamento vicendevole della loro cura.

Commenti

  1. Non lo apprezzai all'epoca, forse non l'ho capito. Mi sembrò un pastiche piuttosto confuso...

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  2. Comprendo la tua sensazione, è un film con diversi registri, drammatico, pulp forse anche black comedy e con scene visivamente molto forti, ma a mio parere fanno quasi da involucro alla narrazione di un trauma da superare. Io l ho apprezzato principalmente per questo.

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