Ninjababy - Yngvild Sve Flikke


Ninjababy è un film che ti colpisce (e non c'è dubbio Cristo se ne sono a scrivere qui alle una di notte, quando domani ho un treno da prendere alle 7, potete scommettere che sia così!). Uso il "ti" colpisce e non un impersonale colpisce perché è qualcosa che investe l'individuo personalmente, il suo carico di credenze, la sua ideologia e il suo modo di vivere. Parte da un punto di vista prospettico radicale, visibile e ben piantato: il corpo di una donna, il corpo di una donna incinta. Rakel è una ventenne con più sogni in testa che solidi risultati. Yngvild Sve Flikke (ho controllato 4 volte prima di scriverne correttamente il nome), la regista, è accurata nell'intricare e imbrogliare i piani della realtà e dell'immaginazione. Se Philip Dick (qualche psicologa femminista penserà che lo cito per ripristinare il fallocentrismo, ma non è colpa mia se la mente più creativa della distopia e della letteratura filosofica del secolo scorso faceva di cognome letteralmente "Cazzo") scrisse da qualche parte che la realtà è ciò che si rifiuta di sparire anche quando smetti di crederci, in questo caso una delle grandi qualità di quest'opera è proprio quella di ibridare in continuazione realtà e finzione, la condizione accidentale, esistenziale di ciò che capita e il tessuto immateriale delle emozioni, delle aspettative e dei desideri. Rakel è incinta, lo scopre dopo 6 mesi, il suo corpo glielo ha reso noto con manifesto ritardo (se sia realistico non me ne rendo conto, ma la Flikke lo rende credibile e io non ho avuto niente da obiettarle). Rakel però è anche una ragazza profondamente incasinata dicevamo, e nella sua testa convivono l'idea di diventare fumettista, globetrotter, assaggiatrice di birra e guardia forestale, la mente compie strane evoluzioni e non esiste un piano che possa comprenderle tutte, scriveva il collettivo dei Wu Ming in Q. Paradossalmente vediamo i suoi desideri schizzati nella carta, nella loro precaria e incerta evenemenzialità. Sembrano tratti stilizzati di qualcosa immensamente lontano, confinato in qualche angolo del cervello di una goffa sognatrice. Ma la mente è anche interfaccia del corpo, in un certo senso la sua continuazione, e quindi ciò che ci affetta nella realtà, ci affetta anche nel modo di sognare e di immaginare. Ecco appunto la realtà non cessa di ibridarsi con la finzione e l'immaginazione. 

Quindi Rakel apprende che non può più abortire, perché ha superato il periodo delle 12 settimane. E, mentre inizia il processo di riconoscimento del proprio corpo che muta e riflette sulle sveltine e sul sesso occasionale dell'ultimo periodo cercando di condividere e poi di affrontare la situazione, inizia anche un dialogo immaginifico con l'ospite che la abita. Ninjababy si manifesta come un fumetto che invade i suoi pensieri e la realtà, la irride e si rifiuta, sarcasticamente, di accogliere come padre il suo creatore biologico, Pikkjesus (in italiano Santa Minchia cit.) l'uomo con cui la donna aveva fatto sesso, perché possiede un poster con Gesù che si fa le canne. Il fumetto del piccolo ninja è una presenza costante nella sua vita, un'invasore indesiderato almeno all'inizio, ma con cui la donna deve fare i conti. Il casino nella sua vita non diminuisce e forse aumenta se possibile, dato che conosce nel frattempo anche Mos, con il quale aveva fatto altro sesso occasionale prima di scoprirsi in stato interessante, lui è un nerd che profuma di burro (dicono che le donne in gravidanza affinino l'olfatto), ma con un grande cuore. Mos la accompagna alla clinica per abortire, e pur sapendo che la bambina che nascerà non sarà la sua, non depone il suo interesse né rinuncia a far sentire la sua presenza nei confronti di Rakel. È un film che coglie nel profondo l'impreparazione e l'inettitudine (anche e soprattutto maschile) di un incarico a cui si è chiamati troppo presto. Avviene così che Santa Minchia (sì, continua a chiamarsi fastidiosamente così) avverta quasi con sospetto clamore la chiamata alla paternità, dopo aver abbondantemente invitato la donna a disfarsi del problema, si ripresenti da Rakel con una nuova disposizione d'animo nei confronti della nascitura. È lo sguardo per niente tenero di una regista anche sul mondo maschile e più in generale sull'egocentrismo alla base di quasi tutte le scelte umane, anche quelle che appaiono più devotamente altruistiche, come la scelta dell'adozione. A questo proposito è sicuramente una delle scene più divertenti e allo stesso dissacranti, quella della protagonista all'interno della clinica per le adozioni, intenta a demistificare e scoperchiare quelle che secondo lei risultano essere le profonde e latenti logiche che guidano le scelte delle famiglie alla base di questo passo. 
Attenzione il film, non è adatto a chi possiede verità forti e precostituite, anzi spesso rimane l'impressione che cerchi di ammantare con aura di superficialità e sarcasmo vicende complesse e difficili, su cui è difficile esporsi. Eppure la schiettezza pratica con cui Rakel affronta la vicenda sviluppa empatia in tutti i pori, perlomeno almeno quanto lo era la cupa profondità morale della protagonista di Cristian Mungiu che affrontava il medesimo tema della maternità indesiderata da una polarità opposta, quasi esistenziale, in 4 mesi 3 settimane 2 giorni.

Lo è perché il mondo di Rakel non è mai una monade, ma un universo sempre permeato dagli assalti inconsulti del baby ninja. E' un mondo preverbale quello che schiude l'epifania del feto costituito da emozioni, sentimenti e immaginazioni dialogiche. Non so se il feto nel periodo della sua formazione sia permeato e infuso dai discorsi della madre (Santa Madonna, mi sono avventurato in un altro terreno scivoloso!). Un connubio tra un essere di qua e uno di là da venire, ma allo stesso tempo interconnessi visceralmente e allo stesso tempo due identità individuali che danno forma l'una all'altra. Ninja Baby è sia un corpo che grava, ma anche immaginazione persistente che condiziona e influenza. Sogno immanente che informa la realtà ed è modificato da essa. Meraviglioso e commovente il frangente in cui il fumetto sciogliendosi, rinfaccia alla madre la sua condizione di essere sgradito, nello stesso momento in cui lei rischia di perdere la bambina. Di sicuro un'opera viva, fatta di carne e sangue, come quella che Rakel riesce finalmente a dare alle stampe che consegna orgogliosa alla figlia, ormai cresciuta, e che solo attraverso l'esperienza della sua nascita è stata resa possibile. Ninjababy da sogno è potuta diventare finalmente sostanza, verbo incarnato.

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