L'archivista

Si alzò d’impatto dalla sedia, poi vi ricadde dolcemente quasi scivolando sul legno antico. 
 “Cambiate il tenore delle vostre accuse.. parliamo”, il tono suadente e il gesto che indicava la sedia di fronte alla sua scrivania non modificarono di nulla la tensione sul volto del suo interlocutore: “lei dovrà spiegare quello che ha fatto alla cancelleria e alla soprintendenza, perciò non intendo discutere con un… ehm… falsario come lei”. La leggera titubanza con cui aveva ricercato quell’accusa, rivelava più di ogni altra cosa la purezza e l'ingenuità di quel giovane, neppure lui un istante prima avrebbe mai giurato di pronunciarla, ma dall’atto aveva acquistato sicurezza ed ora appariva più integro di fronte all’uomo che lo ascoltava. 
 “Prima mi dice che devo essere ascoltato per spiegarmi, poi senza neppure farmi parlare emette già una sentenza inappellabile, ammetterà che ciò che ho fatto non è certo una semplice operazione di riproduzione copia-originale…, c’è un sapere e una maestria unica alla base di tutto ciò”, poi si alzò dal sua poltrona cigolante e, dirigendosi verso la grande finestra dalla quale entravano gli ultimi bagliori del tramonto che ora sbattevano sul suo viso rugoso deformandone l’aspetto. Continuò: “non so se può capire ciò che realmente ho compiuto, né del resto ho alcun interesse a spiegarglielo, sia chiaro, le basti solo sapere che il mio misfatto va a redenzione del mio più alto peccato, quello di essere uno storico”. Il giovane studioso che aveva indovinato tra le pieghe sbiadite di un antico manoscritto quello che il suo stesso autore ora aveva definito misfatto, rimase inebetito da quella dichiarazione che suonava come un’assunzione piena di responsabilità, una confessione. Si sarebbe aspettato un “non sono stato io” o “ho corretto alcune cose su un palinsesto del tutto originale”. Niente di tutto ciò, ora avrebbe voluto andarsene per non conoscere quel sapere certo che quell’atto di follia celava e che lui stesso intuiva come un testo antico sovrascritto da uno più recente. Ora l’anziano decano si voltò guardandolo con aria di sufficienza, e la luce che veniva alle sue spalle circoscriveva la sua figura in un’aura mistica, un santo che si liberava del proprio corpo. “Cos’è?” disse “non ha null’altro da contestarmi?! Se ha finito avrei da riprendere il mio lavoro”. Cercò di rimettersi al tavolo, ma la vicenda doveva aver scosso il vecchio archivista tanto intimamente da impedirgli di afferrare e serrare la penna per bagnarla nel calamaio. Per anni aveva pensato in molti modi il giorno in cui sarebbe stato scoperto, in tutti aveva figurato che l’evento sarebbe avvenuto di mattina, alla presenza di tutte le autorità accademiche, non aveva mai immaginato che tutto si sarebbe svolto nel rossore della sera e che a farlo sarebbe stato un suo studente. Aveva sempre immaginato di ergersi senza macchia e senza timore di fronte al tribunale della Storia, con il coraggio di quei cavalieri del ciclo carolingio che tanto avevano avuto influsso su di lui nel dirigerlo verso lo studio della storia, quando adolescente aveva ascoltato le loro gesta dalla bocca della madre. Portava il fazzoletto bianco alla testa per asciugarsi il sudore, ma volle che quel gesto fosse celato agli occhi del suo astante, che avrebbe potuto interpretarlo come un gesto di chi si arrende incondizionatamente senza frapporre alcuna resistenza. In realtà, pur avanzando la sera, la calura estiva era ancora imprigionata tra i pesanti panneggi delle tende dell’archivio, che, con le sue grandi finestre sul lato ovest, era esposto per tutto il pomeriggio alla tirannia solare. L’archivista aveva paura. Non aveva mai pensato di poter essere affetto da una tale tristezza incostante nata dall’immagine di un dubbio ma inevitabile futuro, gravido di conseguenze. Fece un lungo sospiro e si voltò. 

“Cosa intende fare?” disse, aprendo  per primo la fase delle trattative, sempre che lo studente non avesse continuato sulla linea di quella integerrima integrità. Ma le prime parole furono già una sorpresa: “Cosa si aspetta che faccia?”. E l’archivista: “Beh.., dovrebbe riflettere innanzitutto, non agisca d’istinto, ponderi bene che ogni suo atto proprio come lo è stato il mio è la scaturigine di innumerevoli conseguenze..” e continuò affabilmente “vede.. se ho ben compreso il mio errore, è stato quello di  credermi tanto libero da pensare di potermi emancipare dalla storia, tuttavia, se ho un merito è quello di aver fatto la storia senza la storia, cioè con l’arte, col falso. Tutto ora dipende dalla sua sovrana valutazione..”, lo studente assunse ancora un aspetto contrariato: “Non sta a me. Io mi limiterò a riportare ciò che ho visto agli organi di competenza” il vecchio brandendo un ghigno fuoriluogo: “Far scegliere ad altri è comunque una scelta, e la sua passività avrà comunque delle conseguenze di cui lei sarà causa integrante” e ancora: “piuttosto non mi ha ancora detto cosa ne pensa lei”. 
“Preferisco non avere un’opinione..  di tale lavoro, forse ha ragione, a me spetta solo un mero atto di denuncia che sottende però una chiara scelta etica”. 
“Illuso, lei vorrebbe denunciarmi solo per degli stupidi principi ideali?!”
“No! la verità storica non è affatto un principio ideale, è ricerca delle vere cause aldilà di tutte le sovrastrutture”
Ora l’archivista sentiva davvero d’aver perso la sua causa, non lo avrebbe mai convinto a non denunciarlo, ma, sebbene da questo momento la sua voce risultò irrimediabilmente rotta dall’emozione, non rinunciò a resistere a quell’impeto.
“Fino a quando continuerai a zoppicare con due gambe, ragazzo? Va’ denunciami alle autorità e smettila di tediarmi” a queste parole emesse con pronunciato pallore il ragazzo arretrò senza venir meno allo sguardo del suo astante, non osava dire altro. Così l'archivista riprese coraggio narrando la storia della sua impostura: "Questa finzione esisteva prima di me, l’ho ricavata da qualche fonte, forse manipolata, o forse ricopiata fedelmente da un’altra voce, travisata, importa forse qualcosa? Perché un evento accada basta che sia possibile, il fatto che non lo conosciamo è solo la prova della nostra pochezza, un evento non realizzato non manca di nulla, come vedi non cessa di coinvolgerci, forse coinvolgerà l’intera città per questa ragione … forse si parlerà della più grande impostura del secolo e allora ci troveremo tutti a parlarne ed essa attraverserà ancora molte vite a venire. Ma vedi caro...” l’archivista si avvicinò all’uomo tendendo ambo le mani “...non c’è nessuna gloria personale nei miei interventi, le cose accadono o non accadono, e quando non accadono, non è detto che non debbano essere accadute lo stesso, perciò ti dico ancora che io non sono in alcun modo l’autore di questa storia, essa mi ha attraversato come un campo". Il giovane cercava di capire la posizione del maestro che aveva tanto ammirato, ne aveva amato l’erudizione all’università, e vederlo degradato dal senato universitario, emarginato dalla comunità accademica dai circoli letterari, teneva a freno il suo coscienzioso impulso di rimettere i fatti storici al loro posto. "Cercate ancora di confondermi. Ciò che avete fatto è qualcosa di ben diverso. Voi non avete voluto indagare le ragioni di un mito o di una leggenda, voi avete fatto di una falsità una verità". "Perché siete così attaccato alla verità a cosa vi giova ragazzo?! Perché cercate in tutti i modi di irrigidire e bloccare la complessità che vi circonda? Se una cosa cambia, qualcosa di essa è vera in un tempo successivo che non era vera in un tempo precedente, così ecco che abbiamo una verità diversa. Ogni identità nel tempo è una finzione, nessun avvenimento può confutarne un altro precedente che nella sua unità di spazio tempo aveva la sua legittimità, semplicemente è un'altra verità che non entra in contraddizione con la precedente."
Sarebbero potuti rimanere a discutere per l'eternità, ma la porta dell'archivio si schiuse bruscamente, entrava il rettore e il direttore. Rimasero in disparte per un momento come a non voler interrompere l'apparenza della conversazione che si era interrotta al primo cigolio della porta, poi, come a ricordarsi del loro magistero, si avvicinarono ai due frapponendosi nell'area della contesa appena sospesa. "Occorre allestire tutta l'ala orientale dell'archivio, i lavori di preparazione della mostra procedono ancora lenti, abbiamo avuto conferma da sua altezza che sarà presente con tutta la sua delegazione. Verrà solo per vedere il manoscritto x105". Lo studente sussultò. Era il manoscritto incriminato. Il manoscritto, che per l'intervento di un uomo aveva smesso di narrare una storia, cominciando a raccontarne un'altra. Il rettore fissava insistentemente l'archivista, sperando che l'impellenza e l'importanza del contenuto di quella comunicazione l'avrebbe spinto a congedare il suo giovane interlocutore. Al contrario l'archivista a fatica riuscì a sollevare lo sguardo sulle due autorevoli personalità, e con fare sbrigativo li liquidò "bene, fate pure...". Lo studente, muscoli e nervi bloccati, non osava proferire parola. Il suo intervento o il suo silenzio sarebbero incorsi a cambiare per sempre il destino della sua città, delle sue istituzioni e di tutti gli uomini che vi vivevano. Ora l'intero universo del tempo e dello spazio aveva cominciato a volteggiare sopra la sua testa, condensando millenni di storia  possibile e impossibile tra le antiche pagine del manoscritto x105. Vibrarono potenti dentro di sé ancora le parole dell'archivista. "Ogni identità nel tempo è una finzione". Esse davano il senso all'epocalità della scelta che avrebbe compiuto. Qualunque fosse stata la sua decisione, avrebbe prodotto storia. Se ne andò sicuro e non mise mai più piede nell'archivio. Molti anni dopo la morte dei due contendenti, un biglietto ingiallito  dal tempo tra le carte d'archivio ingiunse a porre rimedio ad un antico misfatto: "L'archivista ha corretto di suo pugno il manoscritto X105". Quel manoscritto aveva raccontato due storie, per ciascun tempo due finzioni.

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