E’ SOLO LA FINE DEL MONDO - Xavier Dolan
Pirandello scrisse da qualche parte (non ricordo più dove) che la morte genera mestizia nei vivi solo perché i morti non possono più dare realtà ai vivi. Cade con essa ogni illusione, i vivi possono continuare a dare realtà a chi se ne è andato, ma non può mai accadere il contrario. Di questo si è realmente infelici quando uno muore: esso non può più pensarci. L'altro non può più darci realtà.
Allora forse il pensiero più naturale quando uno si accorge di dover morire presto, è forse quello di scoprire ancora qualcosa di se stesso attraverso lo sguardo degli altri.
Per Louis, drammaturgo e autore affermato, gli altri in questione, sono i familiari che lasciò dodici anni prima. La propria madre, una sorella, un fratello e la moglie di questi. Essi sono e rimangono gli altri.
L'universo disperante di Dolan è un big bang non più ricomponibile, gli altri sono e rimangono gli altri. E lo straniero che torna, porta su di sè la colpa primigenia e irredimibile dell'insolente distacco giovanile. Ma lo straniero tornato ha qualcosa da dire, deve annunciare qualcosa di importante, più volte è quasi sul punto di farlo. Come un racconto di Kafka, viviamo nell'attesa di questo messaggio che non arriverà mai nelle mani dei destinatari, continui rimandi e ostacoli si frappongono alla sua enunciazione.
Louis è tornato e vuole solo annunciare la sua morte imminente. Ma quelli, dopo dodici anni, sono cambiati, chi in meglio chi in peggio, non è questo l'importante, ma sono cambiati. E con loro è cambiata anche l'immagine che conservano del fratello. Tutti ne sono affetti, ma nessuno arriva a cogliere l'essenza vera e tormentata di Louis, ognuno ne possiede il simulacro di un corpo idealizzato, di un figliol prodigo, di un uomo su cui scaricare tutta la collera accumulata. Un uomo che un giorno se ne è andato e sa che deve ripagare il peso di una terribile assenza.
Tuttavia Louis non è più solo colui che se ne è andato anni fa, è anche il carico di proiezioni, aspirazioni, speranze e disillusioni che la sua assenza ha generato. Laodamia, avendo perduto il suo amato Protesilao sotto le mura di Troia, ne ricostruì le fattezze sotto forma di statua di cera. Gli uomini non si rassegnano a perdere i loro affetti, e danno forma alle proprie illusioni contro ogni principio di realtà. Dolan rappresenta in maniera perfetta l'incompatibilità e l'inadeguatezza di ogni possibile pacifica ricostruzione. Le illusioni falliscono sempre la loro prova con la realtà.
Sembra forse averne coscienza alla fine anche un vecchio/giovane uccello che riesce ad uscire dalla prigione dorata di un orologio a cucù che scandisce la monodia domestica. Per un attimo può volare liberamente, salvo poi rendersi conto, sbattendo contro nuove pareti, che il mondo è solo una prigione più grande.
E alla fine si muore sempre soli e in gabbia.
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