Melancholia

Una macchina da presa fluttua sui volti ingialliti di una cerimonia ingessata. Non riesce a soffermarsi sul volto di nessuno. Tutto è così mutevole, etereo, vacuo. Quella lente indagatrice conosce in profondità le parole degli uomini, sa della calunnia, della falsità, della sopraffazione che nascondono e sottendono. Conosce la ragguardevole distanza tra le parole e le cose. Ha già inteso i giuramenti degli uomini e le loro promesse scritte sull’acqua.
Le parole dei giuramenti che esigono ancorare gli uomini alla realtà delle cose o peggio a plasmare il loro futuro, creano solo una virtualità al quadrato. Le parole finiscono per vincolare solo altre parole.

Lo scopre Justine. Lei che quel giorno gode della legittima dignità per mentire a se stessa e illudersi, sulla possibilità di costruire un futuro felice con l’uomo che sposa, scopre quello che la sua malattia le ha sempre suggerito: la vacuità e la gratuità e l'arbitrarietà del destino umano.
L’inutilità di ogni intenzione o velleità quando un pianeta grande come la terra ti piomba addosso con la lentezza della tortura della goccia cinese. Chi è stato sfiorato dall’ala della depressione, conosce e ha già conosciuto ogni conseguenza, ogni possibile sviluppo, ogni possibile conclusione. 
La lentezza approfondisce i solchi del dramma. Tutto rimane profondamente individuale e prospettico. Non c’è via d’uscita o redenzione sociale, l’unico fatto universale che accumuna e affratella gli uomini è la morte. L’umanità è perduta e non c’è salvezza possibile. Ma non c’è narrazione, né storia da tramandare, siamo lontani dall’universo spettacolare di Hollywood: qui non cadono palazzi, non bruciano edifici, non ci sono tornado da affrontare o tsunami da cavalcare. La morte è lenta e ineluttabile e si prende prima l'aria che respiri. Niente è emendabile, neppure il racconto che possiede l’umanità di se stessa (se siamo soli per chi tramandare il patrimonio del nostro sapere?), ma tutto diventa intimo, e si ripiega nell’intima cura di sé nel momento ultimo. Proprio perché non c’è conoscenza fuori di sé in grado di salvare e sanare, è la regressione a se stessi che porta Justine a ciò che ci può essere di più vicino alla salvezza, intesa non come purificazione dalla colpa e redenzione in vista di una vita ultraterrena, ma come pacificazione. Un'intima immunità da ansie e sventure di chi dentro di sé già sapeva. Una sorta di atarassia, distacco dalle preoccupazioni e passioni del mondo, illuminato dal plumbeo bagliore di una cometa incombente che annuncia la catastrofe ventura.

La buca 19 in un campo da golf che ne conta 18.


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