Sulla strada per Tenochtitlàn

Ndlaa-zurkul”. Erano già entrati, in maniera incomprensibile, già nei confini dell'impero. Spettrali. Così bianchi, non ne aveva mai visto uno simile prima d’ora. Avrebbe voluto avvicinarsi, ma non riesciva ancora a comprendere le loro intenzioni, gli riusciva sempre facile con gli uomini delle tribù vicine, stavolta no. Correvano voci che nel villaggio vicino avessero trucidato l’intera popolazione. Lui, forse tra i migliori guerrieri del suo villaggio, sentiva per la prima volta le mani bagnate, lui, che prima d’ora, la paura non l'aveva ancora conosciuta.
Era tornato il serpente piumato.
Certo non poteva supporre che volessero solo distruggere.
- Dovranno pur volere qualcosa? - si domandava contraendo in una maschera il suo viso. E allora immaginava che, come lui, forse anche loro, fossero soliti interrogare le stelle, e che, forse anche loro, ritenessero come massima aspirazione nella vita di un mexicah arrivare a Tenochtitlàn per leggere e interpretare i bassorilievi e le pergamene segrete.
- Perché allora uccidere così crudelmente? - Nemmeno nelle più grandi battaglie del proprio popolo non aveva mai visto la barbarie che gli era stata raccontata. Per la sua gente la guerra era un’arte, anzi una danza di colori, di posizioni, di maschere in cui non vinceva necessariamente il più forte, ma quello che sapeva ringraziare meglio gli Dei.
Era affascinato dallo scintillio danzante dei monili di quegli strani esseri barbuti, molti erano stati sottratti a tribù nemiche, ne riconosceva la sicura effige, ma perché adornarsi di così tanti Dei si chiedeva. Pensò che forse quegli stranieri avevano accumulato tanti Dei sulle loro spalle per condurli al grande tempio. Sì, doveva  essere così. La pira sarebbe arsa per giorni alta, e quella avrebbe dovuto essere l'indicazione del ritorno del serpente piumato. Ogni dubbio lasciava spazio alla profonda verità di quel racconto che tanto tempo aveva sentito echeggiare tra i saggi del suo clan. Da allora pensò solo a come facilitare tale impresa. Raccogliere monili dalla sua gente non sarebbe stato troppo difficile, se avesse spiegato loro la ragione grande che muoveva le teste scintillanti nella loro impresa. Immaginò la competizione che si sarebbe scatenata nel villaggio per chi avesse contribuito maggiormente e con maggior zelo nella donazione. Tutti i nobili avrebbero fatto sfoggio del loro status. D’altronde per un tale evento di tale portata non sarebbero potuti certo venir meno. 

Tornava il serpente piumato.
Gli stranieri intanto si avvicinavano alla sua posizione. Marciavano sicuri e impettiti con le loro lance tonanti. Preferiva non farsi vedere, almeno finché non sarebbe riuscito a scorgere Quetzalli, pensò che non si sarebbe sbagliato nel riconoscerlo, la sua regalità l'avrebbe di certo abbagliato. Continuò a seguirli come chi non sa cosa vede. Controllò i battiti del suo cuore, cercò di mantenere lo stato d’allerta, coinvolgere tutti i sensi nell’attesa dell’evento. Il battere incessante e cadenzato lo ammonì più di tutto. Battere sinistro. Guardò i loro calzari pesanti. No. Il frastuono era prodotto dai pesanti involucri dai quali erano circondati. Petti e addomi luccicanti che producevano un frastuono confuso, ma ripetitivo, sembrano onde del mare che si infrangono sugli scogli. Sì, il Serpente era tornato dal mare, ed ora sfilava, scivolava magnificente fino a Tenochtitlàn.
Si impose di vincere la paura e mostrarsi, danzare come il migliore dei Mexicah, accoglierli guerrescamente come si conviene. Le gambe, però, non rispondevano. Osservò le venature e le increspature muscolari sulla sua pelle, non aveva alcun potere sui suoi arti, piegati com'erano dalla paura di quell'avvento mistico.
Fece un grosso sforzo accompagnato da un lungo respiro e da una fitta allo stomaco che fece tremare le labbra soffianti. Cercò la disciplina del suo corpo e richiamò tutte le forze, ora doveva danzare, era il momento giusto, da quella posizione non avrebbero potuto raggiungerlo, e quando lo avrebbero visto danzare, ormai sarebbe stato troppo tardi e non avrebbero avuto scelta se non accoglierlo tra di loro. Magari avrebbe avuto in dono uno di quei petti lucenti.
Rifletté che sarebbe stato un valente servitore di Quetzalcoatl. Oggi sarebbe sorta la sua gloria e lui l'avrebbe costretto ad accoglierlo.
Le ultime disposizioni: la maschera piumata, le lance da guerra, il coltello d'ossidiana, pigmento porpora sulle gote e la fronte.
Una voce. Un tuono.
Un grande caldo improvviso in mezzo al petto, l'affanno nell'incedere che si trasferisce al respirare, il sangue che affiora alla bocca. Avevano risuonato le loro lance. Ora arrivava il dolore. Non cercò di nasconderlo. Doveva essere uno stadio intermedio prima di essere assunto nella processione che riportava l'antico Dio sul trono legittimo.
Un dolore caldo, pungente, asfittico. Ma necessario.

- Eccoli sono sopra di me. E' una cerimonia... certo. Così si conviene accogliere il serpente piumato -

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