Body Art - Don De Lillo

"Lui appartiene a un altro sistema, a un'altra cultura, 
dove il tempo è simile a se stesso, puro e nudo, privo di ripari."
Don De Lillo, Body Art

Elaborare una perdita o un lutto è sempre un atto di resistenza, farlo attraverso l'arte è un atto di guerriglia contro se stessi, la propria costituzione fisica e mentale.
Rey Robles e Lauren Hartke assurgono in poche, ma vividissime pagine, al ruolo di attori principali di tutta la cosmogonia del ménage postmoderno della famiglia americana. Sono due artisti che convivono in una casa in affitto, lui regista con un passato di successo, lei artista del corpo e performer, forse si amano, ma non è importante, ciò che conta per De Lillo è dimostrare l'angariante e costrittivo spazio tempo che incombe sulle loro vite, sui loro pensieri e sulle loro percezioni. La realtà materiale della colazione veloce che si trovano a consumare infonde e modifica il loro universo, il loro modo di vivere e altera anche le loro passioni e i loro sentimenti. A dirompente e quasi innaturale proseguimento di una descrizione tanto placida, l'atto debordante, smisurato, dell'uomo di togliersi la vita in casa dell'ex moglie, raccontato dal narratore americano in due pagine quasi come dettaglio cronachistico di un giornale locale.
L'atto debordante e smisurato è veramente tale, infatti, solo nella realtà psichica della compagna dell'uomo, dentro la quale precipitiamo irrimediabilmente e senza àncora di salvataggio. E già perché se la morte si può tradurre nelle parole più scarne, se ogni azione può essere ridotta a linguaggio, non è così per i sentimenti, che non sono astrazioni, ma processi vitali che segnalano lo stato di omeostasi di un corpo, la coscienza di avere un corpo, con essi si può raccontare solo a partire da un preliminare "come se". Ecco che in un attimo viene a mancare lo spazio tempo dell'amministrazione domestica della casa, ma questa si trasforma in una sorta di teatro per l'evocazione di mostri e fantasmi. Dalla prigione palcoscenico di stanze emerge mister Tuttle, un demente balbettante, che riesce a riprodurre però in maniera perfetta l'eloquio timbrico e vocale del defunto convivente. L'incontro con mr Tuttle è reale? E' uno spettro? E' la proiezione dell'uomo perduto? De Lillo nella complicazione della sua magnifica prosa, che segue magistralmente la tortuosità labirintica dei pensieri della protagonista, rinuncia a sciogliere enigmi e a dare soluzioni. Eppure ci coinvolge in un viaggio profondo ai limiti del delirio fino a seguire e descrivere, con la penna di un clinico, l'attuazione di una sorta di terapia d'urto che coinvolge la salute mentale della donna. 
La cura dell'infermo passa per la nostalgia del corpo del marito (cosa dice Spinoza? "se il corpo umano è affetto da un modo che implica la natura d'un corpo esterno, la mente umana contemplerà questo corpo esterno come esistente in atto, o come presente a sé, fino a quando il Corpo sia affetto da un'affezione che escluda l'esistenza o la presenza di questo stesso corpo esterno") e parallelamente per la riscoperta del proprio in un'autentica cura di sé. E la stessa balbuzie di mr Tutle oscilla allora tra l'indicibile dell'evento occorso e l'escavazione di una via di fuga per arrivare all'uomo primordiale, quello al di fuori dell'asifitticità del proprio spazio tempo. La propria sanità passa allora per la costruzione di un tempo interiore, del proprio corpo e delle proprie rappresentazioni mentali contro l'ordine narrativo delle cose secondo un prima e un poi, per arrivare ad una lingua che riposa in se stessa e non dice nulla oltre il suo dire. Ecco il frutto vivo di una lunga e difficile partenogenesi narrativa, quello che Lauren Hartke può esprimere finalmente sul palco, eccedere e oltrepassare il dolore in una trasformazione che accompagna l'opera e la fa vivere, cioè attraverso l'arte. Qualcosa di molto simile a quello che trovai anche qui, e che fa lo stesso De Lillo, e forse tutta la grande letteratura.

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