Il presidente (The Summit) - Santiago Mitre

Sendo, dunque, uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione; perché il lione non si defende da’ lacci, la golpe non si defende da’ lupi. Bisogna, adunque, essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, pertanto, uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E se gli uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perché sono tristi, e non la osservarebbono a te, tu etiam non l’hai ad osservare a loro.

(N. Machiavelli, Il principe)



Hernan Blanco, presidente dell'Argentina si appresta a partecipare ad un vertice sulla cordigliera andina, in Cile, insieme ai maggiori capi di stato dell'America Latina. Ma chi davvero sia Hernan Blanco rimarrà un mistero insondabile per noi.
In un primo momento, Santiago Mitre decide di presentarcelo come un mansueto uomo comune manovrato della sua corte di professionisti della politica, ma non dobbiamo prestargli troppo credito e credergli troppo presto. L'uomo si nasconde dietro il fantasma del suo stereotipo. Non manca di disorientare già nella sua prima intervista marcando la sua doppia natura: citando Marx il presidente sembrerebbe riconoscere "la falsa coscienza" intorno alla sua aurea di presidente-lavoratore e quindi possedere una vera coscienza dei rapporti di classe. E ancora, se in un momento sembrerebbe apparire impacciato e soggiacente di fronte allo strabordante e onnipresente protagonismo del presidente brasiliano, anche in questo caso, poco dopo, lo vediamo smentire la sua debolezza, nel tessere un complicato ordito che lo porterà a scalzare abilmente la centralità dell'ingombrante alleato.

Infine ancora apparentemente sicuri di apprezzare l'angolo privato del capo di stato nell'affetto paterno riservato alle difficoltà personali della figlia, ne finiamo ancora per cogliere le vestigia di un orco. Un politico come tanti forse, che cerca solo di cancellare le tracce di un misterioso segreto che affluisce dal passato nella memoria del suo sangue. E mentre svelamenti e occultamenti producono una patina di indeterminazione di ciò che è vero e di ciò che è falso: il presidente si è fatto strada in modo pulito nel mondo politico? E' forse sempre lui che ordina la macabra uccisione del genero? Scopriamo che la verità è tutt'uno col punto di vista di chi la incarna (con Nietzsche potremmo forse dire che non c'è verità che sia indipendente dalla volontà e dalla decisione). Il regista, insieme ad una cornice da thriller psicologico non rinuncia a descrivere fino in fondo la carica creativa di ogni gioco politico. Ogni accordo richiede astuzia, tattica, ma anche dissimulazione. Non c'è libertà che non nasca da una coercizione lungamente esercitata da leggi e valori arbitrari. Soppesare, riconsiderare, ritrattare e mercanteggiare pesi, valori e misure, questo è il compito dell'uomo politico.
Egli scopre il peso della verità indicibile, cioè che niente è vero; ma non smette di dar forma alla realtà. Si trova anche a riconoscere la propria natura bestiale (eccezionale il racconto della volpe nel sogno e quasi lirico appare lo scambio di sguardi tra il presidente e il cavallo), e forse ad agire secondo la propria natura, ma allo stesso tempo anche a lottare contro di essa dominando il caos e la fortuna secondo il massimo del proprio vantaggio. Ecco, dunque, sorgere dall'indeterminazione l'uomo di stato, sempre aldilà del semplice principio di autoconservazione, intento ad innescare i processi per eseguire al massimo i propri desideri ed imporre la propria volontà, persistere e prosperare.
Qualcosa di molto vicino al "resistere e prevalere" di cui William Faulkner scrisse a proposito del desiderio umano.

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