La Febbre del ragno rosso - William S. Burroughs


"Capisci dunque anche che intendo per l’altra sezione del noetico quella su cui la ragione stessa fa presa con la potenza del discorrere dialettico essa non tratta più le ipotesi come principi, ma realmente come ipotesi, cioè come punti di appoggio e di partenza per procedere fino a ciò che non è ipotetico, verso il principio del tutto; e quando ha fatto presa su di esso, segue tutte le conseguenze che ne dipendono, e così ridiscende verso una conclusione, non servendosi mai di alcun dato sensibile, ma solo delle idee attraverso le quali procede e verso le quali si dirige, e conclude a idee"
(Platone, La Repubblica, VI, 511 b-c)

A mio parere, credo niente si sia avvicinato di più e meglio, nel panorama letterario, a descrivere le fondamenta dell'antropogenesi, quanto la prosa fredda e spiazzante di William Burroughs. In poche righe lo scrittore americano ci conduce in un'indagine archeologica fino a rintracciare e cristallizzare, sminuzzare ed enucleare l'evento originale in cui l'animale diventa uomo. L'evento è irriproducibile e irrapresentabile, ma soltanto approssimabile, ci si può solo avvicinare ad esso, perché l'uomo ha perduto il suo stampo, l'uomo è cioè radicalmente altro dall'animale ovvero un animale senza natura. Due malattie primigenie l'hanno irrimediabilmente separato da esso: il tempo e il linguaggio.
O meglio, il linguaggio e, quindi, il tempo.
Il pirata Mission, che fonda nell'isola di Madagascar la colonia utopica di Libertatia, assumendo una potente droga locale, scopre nel primate "Fantasma" e nel "giardino delle occasioni perdute" l'alterità irriducibile della scimmia lemure, quella dell'uomo originale senza tecnica e quindi senza tempo. Il linguaggio è la prima grande malattia dell'uomo. Non appena qualcosa comincia a vivere, qualcosaltro complotta contro di lui, annota cinicamente Burroughs. E il primo virus è quello idiomatico che reifica tutto ciò che è intorno, e per il quale ogni atto linguistico è indissociabile da una supposizione e presupposizione. Ciò-che-è diventa prima di tutto e innanzitutto cosa-linguistica, si irrigidisce e astrae in essa. L'uomo diventa finalmente tecnico attraverso il linguaggio e con esso costruisce il suo universo nello spazio-tempo scansionato e scandito di parole d'ordine. Tuttavia ogni oggetto continua a non essere assoggettabile alla tirannia della sua definizione. E' l'uomo la prima vittima delle sue suggestioni linguistiche. "La gente non mangia solo il cibo, ma anche le parole, e il sapore del primo è spesso influenzato dal sapore delle seconde", proferì beffardamente il conte Korzybski agli studenti a cui aveva appena mostrato di aver offerto loro cibo per cani.
L'uomo del linguaggio è quindi uomo di fede, religioso dominatore, quello che crede solo alla realtà di ciò che nomina, che prende per principi le sue ipotesi linguistiche e costruisce l'asfittico e autoreferenziale universo tecnico scientifico di segni, di cui si proclama signore assoluto. L'animale intorno a lui non può che estinguersi. Il tempo diventa, allora, l'acme e il dispiegamento del virus linguaggio: la misura dell'avvento dell'uomo tecnico, dello strumento e dell'arma, della scimmia kubrikiana che impugna l'osso e nel fotogramma successivo si ritrova ad esplorare l'ignoto spazio profondo. Il tempo diventa in ultima istanza la mera narrazione dall' e dell'avvento originale, che separa l'uomo dal suo stampo, dalla sua anima originale. 
La distruzione e il cortocircuito della narrazione è il compito salvifico dello scrittore. Un fiume di segni che si elevi in opera demistificatrice, qualcosa che si rivolti contro tutte le narrazioni logiche e le disposizioni sintattiche. In ultima istanza, quindi, una prosa veemente, riottosa e coraggiosa che sfugga da ogni parte alla tirannia dei significati, denunciando il dispotismo di tutti presupposti linguistici e risalga e raggiunga quel principio non presupponibile, là fino alla distanza innominabile della secessione del Madagascar dall'Africa, e dell'uomo dal primate.

Commenti

Post più popolari