Tempo fuor di sesto - Philip K. Dick
La leggera colomba, che taglia con liberi voli l'aria, di cui sente la resistenza, potrebbe immaginarsi che volare le riuscirebbe molto meglio in uno spazio senza aria
(Immanuel Kant, Critica della ragion pura)
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Il tempo è fuor di sesto (come nella nota frase dell'Amleto da cui è tratto il titolo), perché Ragle Gumm militare decorato esperto nella decriptazione di linguaggi e codici, regredisce e fonda una realtà di fantasia e di sicurezza. L'uomo, che trasforma simboli in significati costruisce una prigione dorata per sopravvivere al suo senso di colpa, alle menzogne, alle aspirazioni ideali che il suo lavoro lo costringe ad assopire e nascondere. La stabilità rassicurante della famiglia, della società americana degli anni '60, del roseo futuro dei supermercati traboccanti di prodotti e infine della celebrità mista a riconoscimento sociale dei quiz-show, sono gli ingredienti base dell'universo di carta che si trova ad abitare.
Ma la realtà presenta anche un miscuglio confuso di falle (d'altronde non è indizio certo che le cose complottino tutti i giorni e con ferma perseveranza contro la nostra stessa esistenza?), e Ragle si accorge di ricordare un futuro incompossibile con l'ameno ed eterno presente. La falsa famiglia e il quiz-show non sono altro che la rassicurante organizzazione messa in piedi dall'esercito per continuare a svolgere il suo compito aggirando le remore e le censure della coscienza. Si scopre, dunque, che il militare Ragle Gumm sta ancora lavorando per il governo, decifrando la potenziale posizione dei missili che vengono spediti sulla terra da parte di una sparuta colonia di ribelli sulla Luna, ma lo sta facendo attraverso la partecipazione ad un gioco, di cui solo vagamente percepisce i contorni. Ogni sicurezza individuale, prima ancora che sociale, nasconde, implica ed ingloba la paura trepidante di una guerra civile totale.
Una nebbia invade la sua coscienza, il mondo che si trova di fronte è vero? E se non lo è, che cosa è vero? La portata è ben più radicale del successo del film eponimo, perché Philip Dick estende l'indeterminazione e la falsificazione di tutte le cose a tutti i campi, investendo persino quello linguistico, se tutta la realtà è fatta di parole e non di cose, "forse solo Dio arriva agli oggetti. Ma noi no".
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Al dubbio profondo che investe l'individuo, corrisponde l'impresa dell'artista di mantenersi sempre dalla parte della Luna e di un istinto nomadico essenziale, il più nobile e complesso, che mette in questione ogni ordine e regola, in favore della migrazione, del cambiamento e della sperimentazione.
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