L'Avversario - Emmanuel Carrère

"forse solo Dio arriva agli oggetti. Ma noi no"
(Philip K. Dick, Tempo fuori di sesto)

Mi sono avvicinato più volte a questo romanzo quasi in punta di piedi, intuendo nitidamente i tratti della sua potenza e il sostrato filosofico che evoca e alimenta, alla fine ho sempre desistito, come si evita un'incombenza troppo grave, che a fatica si riuscirebbe a sostenere. E già perché qui Carrère ci interroga fino in fondo, fino a lambire il limite discrezionale che oscilla tra la coscienza responsabile, le sue volizioni consapevoli e le forze occulte che la sovrastano, ne minano l'integrità e la disgregano da ogni parte.
La vicenda trattata nel romanzo assunse ampio risalto ed enfasi nella cronaca dei giornali dell'epoca: un uomo dopo aver simulato e dissimulato la propria professione di medico per 15 anni alla propria famiglia, sul punto di essere scoperto, compie una carneficina uccidendo moglie, figli e genitori. Carrère tratteggia abilmente il suo protagonista Jean Claude Romand in bilico tra l'uomo che ha fatto qualcosa di agghiacciante e l'uomo a cui è accaduto qualcosa di agghiacciante, schiacciato dal peso delle proprie menzogne e falsità.

La vicenda viene ricostruita inframezzata dalle considerazioni dell'autore che non rinuncia al suo punto di vista; quello superficiale, ma non meno incisivo in seno alla società civile francese e alle sue penne prestigiose; il dibattito processuale dell'aula di tribunale e, infine, quello più profondo, torbido e primordiale che proviene da un'eco oscuro dell'alba della civiltà.
Romand, brillante studente al secondo anno di medicina e innamorato di Florence, ad un certo punto si blocca e non si presenta all'esame per l'accesso all'anno accademico successivo. Da qui la sua vita si biforca. Romand diventa lo spettro di una narrazione, l'attore di una commedia o di una tragedia se si preferisce, visto l'esito. Da una parte la narrazione di un padre di famiglia borghese, affermato medico che finisce per diventare professore a Digione e ricercatore dell'Oms in Svizzera, dall'altro l'uomo nudo, che si rintana nelle passeggiate nei boschi, nelle camere d'albergo come un animale braccato, soltanto per tenere in piedi quel mirabolante e sgangherato castello di carte. Sempre sul punto di cedere e raccontare tutto, sempre più lontano dal farlo con un'altra menzogna, quanto più se ne avvicinava.
Siamo lontani dal comprendere la ragione dello sfondamento del muro dell'identità, e del suo lento e inesorabile incedere in una frangia di spazio tempo dominato dalla falsità e dalla maschera. Tracciare un profilo psicologico e immaginare tornaconti e proventi di comodo, non ci esime dalla domanda di fondo che attraversa tutta la vicenda dei Romand. Ovvero se l'uomo sia o meno responsabile delle proprie azioni o vittima delle forze che lo attraversano (l'eco oscuro dell'alba della civiltà, appunto). Ogni uomo è tanto la sua vita nuda quanto le sue aspettative, sogni e desideri, anche quando essi se ne distaccano così apertamente come da un guscio vuoto. Quindi, ogni uomo è anche un potenziale narratore, un falsario, da qui "la simpatia" (nel significato letterale della parola) e la vicinanza che Carrère intravede nel suo doppio: Jean Claude Romand in fondo non è che un narratore come Carrère. E in fondo, mai come in questo caso anche per Carrère scrivere è falsificare, perché pone la compresenza di presenti incompossibili e coesistenze di passati non necessariamente veri.
Ma da questo conflitto interiore, ne nasce un altro, non meno potente, di tipo sociale. La lacerazione di Jean Claude tra ciò che è per gli altri e ciò che nasconde brucia sempre di più. Ogni menzogna verso se stessi e gli altri ne allevia solo temporaneamente il dolore, ma quando rimani incastrato, la prima bugia chiama la seconda e la spirale si avvita inesorabilmente. E non a caso, la discesa negli inferi del protagonista assume primariamente la forma di un'insolvibilità finanziaria e solo successivamente morale, in cui la responsabilità/debito si trasforma in una responsabilità/colpa. Se all'inizio oblio, abbandono e una certa dose di creatività rendono redimibile e procrastinabile il destino del protagonista, successivamente per l'uomo diventerà del tutto impossibile mantenere intatta quella finzione senza l'eliminazione fisica dei testimoni della sua truffa. E con la colpa non puoi più trattare o dilazionare, il debito diventa infinito e irredimibile, un peso che forse, finalmente, ti ricollega al tuo corpo, Romand, infatti, ha diverse convulsioni nell'aula di tribunale mentre ricorda i suoi efferati delitti, e, finalmente, sembra possedere anche la parvenza di una coscienza che può provare sofferenza ed esternare perdono. O forse no, è ancora un'altra maschera della verità.

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