Essere una macchina - Mark O'Connell

"Dalla sua malattia, dal suo nulla,
continua a erigere un Dio con la parola."
J.L.Borges, Baruch Spinoza

Partiamo da un'immagine, ci può essere d'aiuto nell'analisi di questo libro. In Odissea nello Spazio di Kubrik, un primate osserva con curiosità un osso, ne afferra l'estremità con titubanza prima, con maggiore disinvoltura poi, ne sperimenta successivamente gli effetti sul mucchio di altre ossa che ha di fronte; infine il gesto, volontario, cosciente, che Kubrik rappresenta assoluto, sciolto dal resto del corpo, nel dettaglio del braccio che cala dall'alto verso il basso e con l'osso che colpisce fino a spezzare i resti di fronte all'animale, il quale reitera pervicacemente l'azione esplorandone l'efficacia. Appena qualche fotogramma dopo, l'osso si trasforma in un astronave che esplora l'Universo. C'è assoluta identità tra il primate che scopre l'utensile e quello che si serve del mezzo spaziale. Kubrik ha descritto l'avvento dell'uomo. Cioè del primate tecnico, quello che realizza i propri progetti e desideri servendosi degli oggetti. Addirittura, secondo il filosofo Carlo Sini, l'uomo sarebbe tecnico già attraverso il gesto e l'espressione del viso, perché con essi già realizza la propria volontà, ottenendo degli effetti sul mondo circostante. 

"Essere una macchina" di O'Connell, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2018, ha il merito di sviluppare in molti modi questa determinazione originale, genetica: l'uomo è tecnica, fin da subito, in grado di cambiare, quando non sconvolgere le proprie condizioni di esistenza in rapporto agli altri e al mondo che lo circonda. Questo sembra essere la premessa sostanziale che fa da sfondo al suo racconto. E la strategia dell'autore è quella di una narrazione che presta credito a suggestioni e chimere senza far venir meno un metodo maieutico di interrogazione e di indagine dialettica. L'autore in prima persona, quasi come uno novello Socrate, va in cerca dell'ultima verità sull'uomo, o forse della penultima, visto che in questione c'è il suo superamento. 
E già perché quello che compie l'autore è un'incessante e rigorosa opera di inquisizione filosofica tra i laboratori della Silicon Valley, tra i seminari, le dimostrazioni e i brevetti della DARPA, gli scantinati e le rimesse di ardimentosi, quanto goffi e sfrontati, ricercatori sul tema del transumanesimo. Il superamento dell'uomo attraverso la tecnica. Occorre precisare sin da subito che "essere una macchina", nasconde non tanto e non soltanto l'auspicio di ferventi adepti del culto della S.C.I.E.N.Z.A., quanto piuttosto una presa d'atto. La coscienza che l'uomo è sempre preso dentro un funzionamento. L'uomo con lancia e scudo diventa macchina oplitica a Sparta, e ciò sin da subito causa un cambiamento che si ripercuote e investe tutti i campi del sociale, e si trasforma sempre in ideologia, poiché la tecnica si dispone e si proietta anche come pratica di saperi. Ogni macchina ritaglia sin da subito un suo spazio sociale, e quello che descrive perfettamente O'Connell non è altri che quel preciso apparato tecnologico e scientifico dominato dalla matematica e dalla fisica con cui l'uomo, nel frangente storico presente, sta cercando il suo proprio potenziamento. 
Quello che è in discussione nel libro di O'Connell diventa allora, se è possibile ipotizzare un superamento dell'uomo, o anche soltanto del suo supporto materiale, attraverso la tecnica, o semplicemente una nuova determinazione sociale, come ne sono sempre avvenute durante la storia (spesso e soprattutto attraverso progressi tecnici militari). In questo caso si dovrebbe trattare di un vero e proprio salto di qualità, dato dalla fabbricazione di un'Intelligenza Artificiale che sia in grado, come l'uomo, di avere una propria volontà, e che si smarchi dunque dal proprio creatore, come in una sorta di nuova Genesi biblica. L'idea è suggestiva, e i contributi di scienziati e ricercatori somigliano, a volte, ad autentici racconti di Philip K. Dick, ma su di essa sorgono alcune aporie e contraddizioni determinanti. Quella della volontà prima di tutto. Un supporto materiale cerebrale è sufficiente a pensare liberamente? E, inoltre, come è possibile introdurre l'istinto di autoconservazione nell'A.I.? Se tutto ciò si realizzasse, porrebbe necessariamente l'A.I. in conflitto con l'uomo? Ma prima di tutto come si potrebbe dare un comando univoco all'intelligenza creata? Cioè, se fosse realmente intelligente potrebbe anche interpretare il codice col quale l'uomo comunica ad essa i suoi comandi? Arriviamo dunque al problema originale che contraddistingue questo sogno ad occhi aperti: l'intelligenza artificiale non crea, ma risponde agli input. 
La creazione nasce dall'imperfezione; è uno sforzo che l'uomo compie sulle proprie misere condizioni di esistenza, in primis dai nostri corpi, per questa ragione è sempre rivoluzionaria. Ogni macchina, nel suo funzionamento, comporta uno stravolgimento di pezzi, funzioni, apparati e ingranaggi. Ma tutto nasce da uno squilibrio, un ostacolo da superare. Potrebbe venirci ancora in soccorso l'immagine della scimmia kubrikiana, ancor prima di afferrare l'osso, e della sua fatica a trascendere i propri limiti per sonorizzare compiutamente i propri comandi ai suoi simili, e ancora dello sforzo conseguente nel cercare di raccordarne e attribuirne convenzionalmente un valore d'uso comune. Proprio da ciò che è massimamente frustrante e massimamente finito, cioè dall'uomo che riflette sulla morte e sui mezzi e le strategie per evitarla ed esorcizzarla, nasce la creazione. Essa è ciò di più lontano che ci sia dall'algoritmo, ma si confonde con esso, perché ciò che è creato possiede una naturale predisposizione alla standardizzazione, all'inerzia, all'appiattimento e alla convenzione, alla morte in fondo. Niente di sorprendente dunque nei proclami dei nuovi brillanti scienziati che promettono di sconfiggere l'ineluttabile fine, essi ripetono e rinnovano la fede dei primi cristiani nell'Aldilà, del primo uomo che ne seppellì un altro, degli uomini che verranno e dei loro sforzi futuri. Nel sincero scetticismo che permea la sua lunga riflessione sui tentativi più disparati di superare l'uomo e la morte, O'Connell arriva nel deserto californiano ad una chiara e serena consapevolezza che, per quanto vani e inefficaci, essi non verranno mai meno, poiché solo il processo di creazione, sorpassando le nostre membra moribonde, ci avvicina alla divinità eterna che così bramosamente aneliamo. 

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