Il Buco, The platform - Galder Gaztelu-Urrutia

Il tragico, un'economia in grande
(F. Nietzsche)


L'artificioso congegno elaborato da Urrutia, un dispositivo prigione che in maniera aleatoria segna la fortuna e il posto nella società agli uomini, è una rivisitazione originale di un topos assai diffuso nella letteratura moderna, penso soprattutto alle infinite celle esagonali della "Biblioteca di Babele" o al meccanismo dell'assegnazione casuale dei destini nella "Lotteria di Babilonia" di Borges, o alla parabola surreale del ricovero di Giuseppe Corte nel racconto "sette piani" di  Buzzati su tutti, tuttavia il la prima vivida immagine che è venuta in mente è quella dello sfrenato anarco-capitalismo che irregimenta le fondamenta della nostra società, poiché come scriveva Huxley "forse la terra è l'inferno di un altro pianeta".
I dettami della dottrina liberale si basano sull'asserto che la società dovrebbe offrire ad ogni uomo condizioni pari e medesime opportunità, eppure ovunque è disparità e ineguaglianza. L'immagine di una cella assegnata arbitrariamente è lo specchio fedele del selvaggio stato di natura imposto dalla moderna economia di mercato, in cui commensali da diverse estrazioni si assiepano ad un banchetto per mangiare non fino al bisogno, ma fino allo sfinimento estremo delle proprie esigenze, animati tutti dalla paura di mancare. Questa è la grande pratica del vuoto padroneggiata da una classe superiore che prepara ad ogni commensale il suo piatto preferito per farlo mancare, divorare dalle fauci di coloro che ogni volta sono a sovrastarlo. Ogni possibile coabitazione e vita in comune è da subito esigenza di accaparramento, e ogni uomo, un lupo per l'uomo, fino al brutale cannibalismo. Sorveglianti e sorvegliati, primi e ultimi, collaboratori e riluttanti sono sovrastati dagli ingranaggi della macchina, proprio come le classi proletarie e le classi medie ne sono investite e trasformate.
Il miracolo può avvenire solo attraverso una rotella che giri in senso contrario ai pesanti ingranaggi della macchina, un modesto lettore del don Quijotte, non a caso l'allucinato eroe che combatte anacronisticamente con gli ideali cavallereschi contro l'imperante avanzare dell'homo oeconomicus. Per sfuggire alla macchina occorrono desideri non più rivolti ai fantasmi di ciò che manca che sfocia sempre in un lurido accattonaggio, ma sul campo sociale, perciò reali e sempre rivoluzionari delle condizioni di esistenza. Solo con un atto sacrificale, può finalmente aprirsi una crepa nel poderoso edificio dell'utile e del mercato. Nell'economia del prendere occorre, alla fine, dare, per acquistare un potere. Tuttavia, il dono ha la virtù di un superamento del soggetto che dà, e il donatore acquisisce un potere, solo se c'è un testimone, un occhio che può riconoscere questa potenza di separarsi dall'oggetto. Gesù diventa Cristo solo dopo aver donato il suo corpo in sacrificio, acquisendo un potere sugli uomini, e un debito infinito di questi verso di lui. Questa era la virtù dei potlac e dei sacrifici umani delle civiltà precolombiane, l'acquisizione della virtù è tale proprio perché si è ostensibilmente consumato e dilapidato ricchezza di fronte agli altri. La depense, o parte maledetta come la chiamava Georges Bataille, il sacrificio di sé contro la ragione utilitaria della conservazione e dell'accaparramento è ciò che cortocircuita il dispositivo prigione, e allora forse la bambina è la speranza, colei che, apostolo di un mondo a venire, ha visto il massimo della perdita corrispondere al massimo della virtù, il dono.

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