Walkabout - L'inizio del Cammino - Nicolas Roeg

"Mi sono avvicinato alla frontiera della morte, ho messo piede oltre la soglia di Persefone, ho viaggiato attraverso tutti gli elementi e sono tornato"

Apuleio, Metamorfosi 



Il secondo film di Nicolas Roeg alla regia. Ed è un'opera che non lascia per nulla indifferenti. Certamente figlia del suo contesto storico. 1971, siamo nel pieno degli anni della contestazione giovanile, che a gran forza denunciano le distorsioni e i disastri della società e del modello di produzione capitalistico. In questo clima Roeg concepisce la storia di due adolescenti che beffardamente si perdono nella natura più autentica e ostile del deserto australiano, aiutati a sopravvivere e tornare al loro universo borghese da un giovane aborigeno. La vicenda è naturalmente molto più complicata di come l'ho appena descritta, basti dire che tutto parte da un pic-nic organizzato dal padre dei due che, per ragioni ignote, deciso a suicidarsi, cerca di uccidere anche i propri figli. Entrambi riescono a scappare, e così inizia la loro peregrinazione.

Ma il dramma di cui tratta il regista è molto più profondo di una semplice tragedia familiare, si tratta piuttosto dell'impossibilità umana di comprendersi fino in fondo. Mentre gli animali, le piante e tutta la natura non sono altro da ciò che esprimono, e l'occhio dell'autore sfocia spesso quasi nell'aperto documentario in alcuni tratti; l'uomo civilizzato, nella sua ansia di costruire e produrre, edifica e lastrica la strada del suo proprio isolamento e alienazione. E la magnifica fotografia di uno dei più grandi maestri del mezzo, non fa altro che approfondire e scavare il solco della incomunicabilità e del fraintendimento. L'universo vitalistico e colorato del cacciatore in armonia con la natura indomita, si contrappone liricamente alle periferie decadenti e alla rovinosa apocalisse di case sventrate e abbandonate dall'uomo, riconquisate dal deserto. Qui il giovane aborigeno che si trova a compiere il rito di passaggio all'età adulta in cui un membro si allontana dalla propria comunità per sopravvivere da solo nel deserto difendendosi dalle belve e cacciando, incappa anch'egli nell'impossibilità di comprendere e di farsi comprendere. Il giovane, ammaliato dalla bellezza della ragazza che scorta nel deserto insieme al fratello, si lancia in una particolare danza di corteggiamento che viene completamente fraintesa dalla donna che lo respinge. Mi viene a sostegno a questo proposito il concetto espresso da Oliver Sacks in "Vedere Voci": ciò che sfugge al linguaggio occidentale e Roeg rappresenta con esattezza in questo film è proprio questa incredibile ricchezza di un linguaggio visivo-gestuale, "e degli straordinari potenziamenti della percezione e dell’intelligenza visiva che ne accompagnano l’acquisizione, e che in fondo ci rivela che il cervello è ricco di possibilità che non avremmo mai immaginato, ci fa apprezzare la plasticità e le risorse quasi illimitate del sistema nervoso, dell’organismo umano, quando è posto di fronte al nuovo e deve adattarsi". L'iniziazione dell'aborigeno finisce tragicamente con lui appeso ad un albero, non si capisce se impiccato dai folli cacciatori accumulatori di ossa, o forse più probabilmente affranto dal rifiuto della donna occidentale alla quale si era dichiarato, che non riesce a comprendere la sua pittura del corpo e i volteggi e le fole della sua danza ancestrale. I giovani ritrovano finalmente la strada del ritorno, anche la loro iniziazione è compiuta, l'esperienza ai limiti della civiltà, là nel deserto dove non è possibile mettere radici e abitare, ma solo spostarsi e peregrinare. Se ne ricorderà la donna, anni dopo, quando all'ansia di affermazione e alla finzione dell'identità borghese, potrà contrapporre la sua esperienza di smarrimento nel deserto.

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