Strappare lungo i bordi - Zero Calcare
se il corpo umano è affetto da un modo che implica la natura d'un corpo esterno, la mente umana contemplerà questo corpo esterno come esistente in atto, o come presente a sé, fino a quando il Corpo sia affetto da un'affezione che escluda l'esistenza o la presenza di questo stesso corpo esterno.
B.Spinoza
Zero fonda i sei episodi della sua serie su un percorso, ma attenzione è un cammino tutt'altro che lineare, è un sentiero accidentato, oscuro e criptico. Schiude qualcosa di estremamente doloroso e per arrivarci avremo bisogno di essere preparati. La via intrapresa è quella della continua divagazione, giochi e calembour allontanano momentaneamente dal cammino intrapreso e ti costringono a fermarti un attimo e dirti in romanesco "beh ma dove cazzo stavo annà?!". Ogni digressione, inciso sarcastico, in fondo serve solo a evitare l'ultimo momento, il finale in cui sei faccia a faccia coi tuoi fallimenti e le tue scelte sbagliate o le rinunce a scegliere, che del resto sono comunque una scelta. Ogni divagazione ripete l'antico espediente Shahrazād davanti al Sultano, quello di Tristram Shandy di Sterne, e consiste nel provare ad elevarsi al di sopra del mero principio di autoconservazione, che del corpo è il primo e unico fondamento, e quindi procrastinare la sfida a perdere con la morte. La digressione e il fumetto satirico servono e aiutano anche perché se la morte si può tradurre nelle parole più scarne, e se ogni azione può essere ridotta a linguaggio, non è così per i sentimenti, che non sono astrazioni, ma processi vitali che segnalano lo stato di omeostasi di un corpo, la cinica coscienza dalle sembianze di un armadillo che ti segnala di avere un corpo, con essi si può raccontare solo a partire da un preliminare "come se".
I sentimenti non li puoi spiegare né razionalizzare, come la decisione della tua migliore amica di togliersi la vita, i sentimenti sono materia plastica, malleabile, con loro puoi solo fare paragoni, facci caso. Zero però ci dice anche che si sopravvive alla morte e ai sensi di colpa in qualche modo, provando ad uscire dal proprio guscio e oltrepassando i rigidi dettami della propria inedia e delle proprie zone di comfort. Solo dopo aver amato ed essere usciti sconfitti e inermi può iniziare qualcosa, e se la sofferenza è l'esito finale dell'amore perduto, il marchio e lo stigma perpetuo di esso, il racconto di essa forse è vivere ancora. Si può sopravvivere e provare gioia anche e soprattutto attraverso la narrazione, se si ammette che ogni sofferenza d'amore perduto si trasfigura necessariamente in racconto. La digressione, in fondo è anche e soprattutto la divagazione dalla linea tratteggiata quella che astrattamente avevamo ritagliato e pensato o che qualcun altro aveva pensato per noi, salvo poi ritrovarci soli e disillusi a divagare per affermare le ragioni della narrazione, l'unico luogo, forse, in cui il dolore sembra apparentemente riunirti con ciò che hai perso. Siamo fili d'erba.
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