"Vi libererei, se sapessi come. Però neppure qua fuori siamo liberi. Tutti gli animali, le piante, i minerali, perfino gli uomini di un certo tipo, vengono fatti a pezzi ogni giorno, smontati e rimontati, allo scopo di proteggere pochi eletti, i quali sono sempre i più insistenti nel reclamare la libertà - ma anche i meno liberi di tutti. Non posso neppure promettervi che tutto questo un giorno cambierà - che Loro la smetteranno, e bandiranno dai propri pensieri la morte, e lasceranno perdere il terrore intricato della loro tecnologia, e cesseranno di impiegare spietatamente le altre forme di vita per mantenere a un livello tollerabile ciò che angoscia l'umanità - e saranno invece come voi, vivi, presenti..."
T.Pynchon, L'arcobaleno della Gravità
Haiti, 1955. La camera incede su piatti di legno, incensi, polveri. Canti litanici accompagnano uno strano rituale. Un uomo barcolla in una strada della capitale, cade e muore, diventa uno zombie. Parigi, in un punto imprecisato dei nostri giorni. In un collegio femminile, il movimento della camera a carrello esamina i volti innocenti delle giovani studentesse mentre il professore di storia spiega loro l'eredità e l'importanza della rivoluzione francese. La spiegazione si sposta su Napoleone. Egli ha inverato la rivoluzione portandola a compimento. "Achever" in francese ha il doppio significato di portare a termine e finire. In un certo senso essa è stata tradita e terminata, finita e portata a termine, ma allo stesso tempo anche internazionalizzata, mondializzata. Lo stesso concetto di libertà, come sviluppato successivamente deriva da questo scacco e da questo compromesso tra il concetto di rivoluzione e la concezione liberale ottocentesca della libertà, che non ha fatto che affermarne i limiti e le esclusioni. Haiti, ne è appunto la concreta e illuminante parabola. Lo Stato haitiano così come uscito dalla rivoluzione del 1804, realizza attraverso la rivoluzione l'abolizione della schiavitù, è anche lo Stato in cui la schiavitù persevera in ogni modo fino ai nostri giorni, a seguito delle pesanti imposizioni debitorie da parte dei francesi. Che ne è dell'ideale rivoluzionario? Che ne è della libertà? Sembra chiederci Bonello per tutto il film. Un uomo cade in una strada della capitale e si ritrova schiavo senza documenti in una piantagione di canna da zucchero. Sogna di tornare e ricongiungersi con la consorte, ma ormai è uno schiavo, uno zombie senza identità. La schiavitù è, infatti, quella condizione in cui si è morti pur restando in vita, qualcuno esercita una signoria e una possessione politica sul corpo dello schiavo.
Quasi costruita su questa violenza originaria, Bonello mette in scena la quinta teatrale sentimentale delle adolescenti francesi ospiti del collegio, che si incontrano ogni sera e condividono i loro segreti drammi individuali. In particolare spicca quello di Fanny, che, sulle note di un rap collettivo, si immagina insieme al suo ragazzo lontano e conta i giorni che la separano dal ricongiungimento con lui. Egli però un giorno la pianta senza darle spiegazione. Due drammi di natura e cultura differente si biforcano e si incrociano in continuazione. Due piani che sembrano imparentarsi ed ibridarsi in uno stesso ed unico racconto. Ospite del collegio femminile, infatti, è anche Melissa, orfana di due vittime del tremendo terremoto di Haiti, è il trait d'union tra le due storie, essendo proprio la nipote dell'uomo zombie dei primi fotogrammi del film: Clairvius Narcisse. Ed è proprio dal racconto della sua storia e dalla menzione della zia mambo, una sorta di medium vudù, che Fanny decide di immergersi ed affidarsi al rituale per recuperare ciò che ha perduto. Si reca dunque dalla zia esplicitando di volersi liberare della sua infelicità, dalla possessione dei ricordi e del desiderio di morire. Forse possiamo immaginarci come la giovane sia, a sua volta, schiava delle passioni. Il Vudù, però, non è uno strumento per appagare desideri e capricci, ma il linguaggio di un popolo schiavo, il suo risveglio quotidiano come comunità. Il Vudù è la costante prossimità alla morte di un popolo che vive nella precarietà e nel terrore dell'oppressione. Fanny convince la zia di Melissa a condurre un rituale per ricongiungersi al suo amato. Il suo capriccio verrà pagato molto caro, come scrisse Nietzsche, infatti, non conosciamo mai fino in fondo ciò che chiamiamo volontà e libero volere, esso non è che una è pluralità di azioni, movimenti e sentimenti di questi stessi, mentre si desidera, il più delle volte si finisce per essere posseduti dai fantasmi dell'oggetto del proprio desiderio. Ed è proprio così che il rituale di liberazione diventa un vero e proprio rituale di possessione e un potente demone, chiamato Baron Samedi, entra nel corpo della giovane donna. Il racconto raggiunge lo snodo apicale, mentre il demone balla e si fa beffe dei vivi e di chi l'ha invocato, capiamo che ciò che incatena è anche la stessa forza che libera. Comprendiamo come e perché per gli Haitiani la vita e la morte siano così intimamente legati: in un altro spazio tempo Clairvius Narcisse, zombificato nel 1955 in una strada della capitale, nel 1980 ritrova la strada per tornare dalla propria moglie, e con orgoglio proferirle le parole che marcano la riappropriazione politica del proprio corpo: "E' finita. Non sono più uno schiavo e non lo sarò mai più".
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