Sundown - Michel Franco
Alcuni pesci boccheggiano su una superficie lignea, un uomo seduto su una barca li osserva con sguardo trasognato e contemplativo, esalare la loro ultima agonia. Comincia così simbolicamente quello che non esito a definire uno dei capolavori più sottovalutati del cinema recente. Sundown ha poco a che fare coi tramonti da cartolina di Acapulco, anzi al contrario quasi sempre siamo immessi in una scena statica di un annichilente sole allo zenith di un Messico senza movimento, dove tutto avviene senza preavviso. In una fotografia tanto lucida e chiara che la luce sembra disfare e sciogliere le interazioni e rendere impossibile la vita.
E' un universo delle grandi contraddizioni quello che miniaturizza Michel Franco, polarizzato. La ricchezza dei maestosi resort, nei quali devi muoverti con l'auto elettrica per vedere i confini delle proprietà e quello ammassato e pullulante di vita di cibo e di birra dei ceti popolari che all'ombra di quei resort e alberghi di lusso vivono come cavallette. O forse come parassiti, attendendo che quella ricchezza strabordante nei suoi movimenti eccessivi, si infili per qualche miracolo nelle loro tasche. Il Messico delle grandi contraddizioni sociali fa da sfondo a tutta la vicenda.
L'uomo, Neil, (uno straordinario Tim Roth) che osserva i pesci agonizzare, vive anch'esso una stanca agonia, ne conosceremo presto, non senza ironia, tutti i macabri contorni. Sembra far parte di una ricca e assolata vacanza con la propria famiglia, ma i legami si allentano con lo scorrere della pellicola. L'uomo è sempre più solo lungo tutto lo scorrere del film, e la falsa impressione che Franco ci concede di ammirare un'iconica famiglia benestante nei loro eccessi turistici, in realtà è funzionale al movimento di distacco del protagonista dal suo alveo, dalla conchiglia che sembra occupare. L'uomo infatti, non è il consorte della donna né il padre dei figli. Si scoprirà quasi a metà film che è fratello di lei e lo zio dei due ragazzi, inizia a scavarsi un solco che non sarà più rimarginato.
Improvvisamente, l'universo placido e controllato della villa occupata dalla famiglia viene travolto da una sconvolgente notizia dall'altro capo del mondo. Da Londra giunge loro la comunicazione che la loro madre ha avuto un malore ed è morta in ospedale. Viene subito organizzato il viaggio di ritorno per il quale non si bada a spese e la famiglia si fionda in aeroporto. Neil fruga nella borsa svogliatamente. Non ha il passaporto. Non può partire con loro. Bacia la sorella affranta e distrutta dal dolore, e dice loro che farà di tutto per prendere il primo volo, mentre li accompagna affettuosamente verso l'imbarco. Chiama un taxi, si fa portare in un albergo di buon livello, mentre disfa la valigia vediamo manifestamente il suo documento di viaggio. Ha mentito.
La scelta di non tornare a casa è stata deliberata. Possiamo solo supporre da ora in poi il perché di tale comportamento. Franco ci offre una panoramica impietosa del suo cosmo sospeso tra catatonia e depressione. Neil continua a mentire alla sorella che preoccupata chiede se riuscirà almeno a presenziare ai funerali della madre, inventando fantomatici problemi burocratici presso il consolato. La verità è che Neil è un uomo stanco che a poco a poco rinuncia anche a parlare ed argomentare. Così è da interpretare a mio modo anche lo spegnimento del telefono, come rinuncia alla facoltà di fare promesse, quella che per Nietzsche è appunto il compito impostosi dalla natura all'uomo. Neil perde infatti, a poco a poco, i suoi connotati di uomo e in un certo senso finisce per fondersi con gli oggetti propri del panorama messicano, egli è tutt'uno con l'ombrellone e la sedia a sdraio. Impassibile quando da una moto ad acqua, Mictecacihuatl, dea della morte, scende inesorabile ed improvvisa a mietere vite come solo in Messico può succedere. Conosce Berenice una giovane locandiera messicana, e capiamo qualcosa del mondo da cui fugge, della ricchezza e della maschera rigida che ha deciso di non indossare più. Ma il passato torna a battere più volte alla sua porta.
La sorella, il cui mondo è retto dall'appropriazione e dal denaro, esige che l'esilio che Neil si è costruito sia ricompensato dalla sua rinuncia all'eredità, ma seraficamente l'uomo accetta di firmare tutti i documenti accogliendo per sé una "misera" (se fa per dì) rendita di 10.000 sterline al mese. Accetta di perdere tutto, perché in un certo senso vuole perdere tutto e smarrirsi. Ma anche qui, inesorabile la dea della morte che vive e prospera in Messico accanto all'uomo, facendosi beffe di tutti i suoi piani e progetti, fa in modo che le cose vadano in modo diverso. La ricca sorella è vittima di un assalto di una banda di rapitori alla cui guida c'è il tassista che aveva accompagnato Neil in più occasioni e che forse aveva vagamente intuito l'importanza del patrimonio dei fratelli. La morte della sorella è imputata al protagonista che finisce per esplorare l'ultimo strato alla base della piramide sociale messicana, quello limaccioso e stantio del carcere. Con dignità e non curanza accetta la reclusione senza dare accenno di richieste di clemenza. Richard, il legale deus ex machina della famiglia, però, riesce a liberarlo e a provare la sua estraneità ai fatti. Su questo crinale Franco compie un altro capolavoro: l'apparizione simbolica dell'animale.
Vicino all'abiezione e alla disperazione assoluta appare quasi bunuelianamente un maiale. Il primo sotto la doccia della prigione. Poi il sogno della mandria sulla spiaggia al tramonto. Infine, dopo la scarcerazione, un suino squartato nella propria abitazione, lì quasi sotto il peso di un immagine tanto potente assistiamo ad un crollo verticale del personaggio che scivola per la tromba delle scale. E' la metafora di una lotta per la liberazione contro un potere che ha tenuto Neil sempre in ostaggio? La multinazionale che ha garantito a lui e alla sorella tanta ricchezza è fondata infatti sulla lavorazione della carne di suino. E' un'immagine della propria infanzia e del proprio mondo cui non riesce a venir meno? E' una parabola simbolica della sua vita? Possibili tutte le interpretazioni. Dopo essere finito nell'ultima clinica comprendiamo che Neil è solo un uomo che ha capito da tempo di essere giunto al termine della propria vita e Franco lo trascina, corpo stanco, in pseudo-soggetiva, per i bassi fondi di Città del Messico. In un'ultima sequenza, di nuovo vicino al mare, sotto una luce sovrabbondante e bianca, su una sdraio una camicia appesa dilavata e consumata e un paio di ciabatte logore affermano con forza che l'utopia di un uomo che è stanco, di borgesiana memoria si è forse compiuta: Neil si è liberato finalmente della sua carne e del suo corpo, smarrito. Forse evaporato nella luce.
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