Memoria - Apichatpong Weerasethakul


"Come i gesti dei sordomuti significano le parole che essi non possono pronunciare,

così la sublime mimica del testimone manifesta per la prima volta il linguaggio"

(Giorgio Agamben, Quando la casa brucia)


Memoria e ricordo. Memoria è tutto ciò che accompagna tutta la vita sulla terra. Ogni vivente deve sapersi comportare in base ai suoi incontri/scontri con l'altro da sé. Essa è quindi qualcosa di molto pratico, è una cartina di orientamento nel mondo. Accanto a questa funzione cognitiva, vitale, ricordare però è anche un'attività creativa, generativa e sentimentale. E' questa polarità che Weerasethakul (santa madonna c'ho messo un'ora a scriverlo) esplora e amplifica in questo autentico capolavoro. Un capolavoro lento e difficile, non c'è dubbio, che narra le vicende di una donna che ricerca un suono. Ne ha sentito nitidamente i contorni sulla soglia del risveglio un mattino mentre è in Colombia in visita alla sorella malata. Questo suono le parla un linguaggio presociale, ancestrale e la trascina in una ricerca complessa fino alle radici genetiche che rendono possibile l'idea stessa di memoria. E' un film lento, lentissimo, quello del regista thailandese, in cui le immagini sono scandite, fermate nel tempo e la parola e il logos sono usati con parsimonia. Come si può descrivere un suono con le parole, infatti, come si può riprodurre un suono spiegandolo? Il tentativo nella sala prove di fronte al tecnico che cerca di aiutare la protagonista a ricostruirlo è la meraviglia di come le parole debbano trasformarsi in poesia per raggiungere il suono. Le immagini non sono le cose e le parole non sono i suoni. 

La donna entra in sala chiedendo al tecnico un suono di una enorme palla che cade in un pozzo di metallo circondato da acqua di mare, si può riuscire forse ad immaginare tanto? La parola ripiega nella poesia perché ricordare è un atto creativo che significa riportare alla vita un evento trascorso, un passato sepolto e quindi dare nuova vita, la poesia è appunto strappare la parola al suo contesto, alla sua cronicità e quindi al suo tempo. Anche le parole, infatti, sono solo nel tempo cronico, hanno una successione, solo una lingua che fa saltare tale successione e farle fiorire in un nuovo uso, in un nuovo mondo ci sottrae al cronos e alla morte (si potrebbe fare un confronto tra questo film e Arrival Villeneuve proprio sull'interessante altro impiego del linguaggio). Ma, appunto, ricordare significa anche che abbiamo dimenticato. La vita accade e scompare. Dove c'è ricordo, c'è oblio. In un certo senso ciò che si ricorda è un frammento perso irreparabilmente. Perché la donna ricorda un suono e non un'immagine? Beh anche in questo caso si può ipotizzare che sia per sottrarre il ricordo alla nostalgia di ciò che si è perso, ed associarla ad una ricerca ancestrale, uno sforzo di spossessarsi e di liberarsi del proprio io, della propria memoria personale per ascoltare una sorta di memoria di "specie", impersonale, che ci sovrasta e, allo stesso tempo, ci accomuna. Ciò che accade ad altri accade a noi stessi, spiega il pescatore alla donna. Siamo l'uomo pestato per il suo pranzo e siamo la donna sacrificata 6000 anni fa per liberarla dagli spiriti maligni. Tutte queste storie sono un'unica storia, tutte le vicende sono un'unica vicenda. Un legame universale attraverso simboli di connessione tra esseri umani e natura, come una rete di radici che unisce diversi alberi o una spirale che rappresenta il tempo e la storia condivisa. Ed ecco che quando arriviamo a questo pensiero panteista totalizzante che annienta lo spazio e il tempo e rende il linguaggio inoperoso, senza alcuno scopo come quello poetico, solo allora comprendiamo che la memoria è ciò che ci attraversa e ciò che ci riporta ad un sostrato che ci sorpassa e ci accomuna, che ci rende fratelli nella storia e nella natura. Giunti qui, dopo 2 ore di visione, siamo pronti per un'epifania (phanes) e siamo pronti anche ad accettarla, se come allegoria o come realtà sta solo a voi deciderlo. 

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