Verranno le dolci piogge - (there will come soft rains) di Ray Bradbury, una presentazione

Premetto che ho sempre apprezzato la letteratura postapocalittica, e in particolar modo quella che parla della fine ed estinzione della razza umana, forse perché è l'unica che realisticamente riflette sulla paura trepidante della nostra epoca, ovvero il rischio della guerra nucleare dispiegata. 
Da qualche decennio le trombe dell'apocalisse suonano alle nostre porte mentre noi preferiamo tapparci le orecchie, scriveva Luis Bunuel nelle sue memorie, da allora i rischi non si sono affatto attenuati, tanto meno si sono stappate le nostre orecchie. 
Non c'è dubbio che il racconto di Bradbury si inserisca pienamente in questo filone, tuttavia, a mio parere, lo supera e lo innova in maniera del tutto originale. C'è qualcosa di meravigliosamente antiumano e impersonale nel destino della casa protagonista del racconto. Un piccolo universo robotico di macchine e oggetti meccanici che continua imperterrito a funzionare, nonostante l'apparente scomparsa dei creatori, dei fruitori e dei consumatori di quei congegni. In tale desolazione, le tapparelle, il tostapane, il forno, la macchina che produce tramezzini, la macchina che serve le carte da gioco continuano ad assolvere al loro compito e al fine per cui sono stati progettati, costituendo una specie di "altare con diecimila inservienti" e animando uno stanco quanto inutile rito religioso senza alcun senso.
Tutto sembra ancora reggersi e conservarsi nella casa di Bradbury, secondo un ordine e un automatismo provvidenziale. Questo appare il vero aspetto modale che acutamente l'artista cuce su quell'addomesticato universo di ingranaggi. Un governo automatico e autoreferenziale secondo regole e principi che possiedono la loro validità solo negli stretti confini delle pareti della casa. In tutto ciò, forse, Bradbury pare individuare e leggere in maniera perfetta la parabola del destino umano, dopo il suo affrancamento da Dio e dalle divinità. Ogni cosa nella modernità possiede una razionale autonomia. Se in prima istanza l'umanità ha immaginato un creatore che agiva per volontà libera, quindi un creatore che istituiva leggi generali per regolare la realtà fisica, alla fine essa ha finito per accettare queste stesse leggi e principi sciolti da ogni legame con la divina sfera trascendente. Se la divinità agisce attraverso leggi generali diventa, in un certo senso, già possibile spiegare gli eventi e i fenomeni della realtà fisica attraverso un ordine a loro immanente. Il passo successivo è l'autonomizzazione e la paradigmaticità di quest'ordine. 
E' questa frangia di ultrastoria che sembra rilevare Bradbury, come Nietzsche sulla piazza del mercato. Questa persistenza meccanica tra la storia e la sua fine, che finisce allora per sostanziarsi nella voce essenziale che scandisce il presente dilaniato, tra le macerie, in attesa della fine. L'ultima grande dismisura umana prima dell'apocalisse: il conteggio del tempo.


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