Il fantasma della libertà
"E se gli uomini non avessero sperimentato che facciamo molte cose di cui poi ci pentiamo, e che spesso, quando cioè siamo agitati da Affetti contrari, vediamo il meglio e seguiamo il peggio, niente impedirebbe loro di credere che facciamo tutto liberamente. Cosí il bambino crede di appetire liberamente il latte, e il fanciullo adirato di volere la vendetta. Parimenti l'ubriaco crede di dire per libero decreto della sua mente ciò che poi, da sobrio, vorrebbe aver taciuto; cosí il delirante, la ciarliera, il fanciullo e moltissimi della medesima specie credono di parlare per libero decreto della mente, mentre, invece, non possono frenare l'impulso che hanno a parlare; sicché la stessa esperienza, non meno che la ragione, insegna che gli uomini credono di essere liberi solo perché sono consapevoli delle proprie azioni, e ignari della cause da cui sono determinati, e inoltre che i decreti della mente non sono altro che gli appetiti stessi e perciò sono diversi a seconda della diversa disposizione del corpo."
(Spinoza, Etica, p. III prop.2, scolio)
"Ciò che si chiama «libertà del volere» è essenzialmente il sentimento della superiorità nei confronti di colui che deve obbedire: «io sono libero, "egli" deve obbedire» ‑ in ogni volere si nasconde questa coscienza come pure quella attenzione tesa, quello sguardo diritto che si fissa esclusivamente su una cosa, quell'illimitata valutazione «ora è necessario questo e non un'altra cosa», quella interiore certezza che si sarà obbediti, e tutto quanto ancora appartiene alla condizione di chi impartisce ordini. Un uomo che vuole ‑ comanda a qualche cosa in sé che obbedisce o alla cui obbedienza egli crede. Ma ora si osservi ciò che è più strano nella volontà, ‑ in questa cosa così complessa, per la quale il popolo ha solo una parola: in quanto noi in un dato caso, siamo nello stesso tempo colui che impartisce l'ordine e colui che obbedisce, e conosciamo, in quanto obbedienti, i sentimenti della costrizione, della spinta, dell'oppressione, della resistenza, del movimento, che di regola hanno inizio immediatamente dopo l'atto del volere; in quanto noi, d'altro canto, abbiamo l'abitudine di non tener conto, di lasciarci ingannare da questo dualismo in virtù del concetto sintetico dell'«io», si è legata al volere tutta una catena di conclusioni sbagliate e, di conseguenza, di false valutazioni del volere stesso, ‑ cosicché colui che vuole crede in buona fede che per agire sia sufficiente la volontà. Poiché, nella maggior parte dei casi, si è espressa una volontà solo quando ci si poteva aspettare anche l'effetto del comando, dunque l'ubbidienza, dunque l'azione, allora l'apparenza si è trasferita nella sensazione, come se ci fosse lì una necessità d'effetto; in definitiva, colui che vuole crede con un considerevole grado di certezza, che volontà e azione siano in qualche modo una cosa sola ‑, egli attribuisce ancora alla volontà stessa la riuscita, l'attuazione del volere e gode in ciò una crescita di quella sensazione di potenza che ogni successo porta con sé. «Libertà del volere» ‑ questa è la parola per quel complesso stato di piacere di colui che vuole, che comanda, e nello stesso tempo si identifica con l'esecutore, ‑ che come tale partecipa al godimento del trionfo sulle resistenze, ma fra sé giudica che sia la sua volontà stessa, quella che effettivamente ha superato queste resistenze. Colui che vuole aggiunge in questo modo le sensazioni di piacere dei fruttuosi strumenti esecutivi, delle «volontà inferiori» o anime inferiori poste al suo servizio ‑ il nostro corpo è infatti soltanto una struttura sociale di molte anime ‑ al piacere di sentirsi un essere che comanda."
(F.Nietzsche, Aldilà del bene e del male, 19)
"Vi libererei, se sapessi come. Però neppure qua fuori siamo liberi. Tutti gli animali, le piante, i minerali, perfino gli uomini di un certo tipo, vengono fatti a pezzi ogni giorno, smontati e rimontati, allo scopo di proteggere pochi eletti, i quali sono sempre i più insistenti nel reclamare la libertà - ma anche i meno liberi di tutti. Non posso neppure promettervi che tutto questo un giorno cambierà - che Loro la smetteranno, e bandiranno dai propri pensieri la morte, e lasceranno perdere il terrore intricato della loro tecnologia, e cesseranno di impiegare spietatamente le altre forme di vita per mantenere a un livello tollerabile ciò che angoscia l'umanità - e saranno invece come voi, vivi, presenti..."
(T.Pynchon, L'arcobaleno della Gravità, p.324)
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