Il Silenzio - Don Delillo


Delillo Il silenzio

Si rimane completamente incendiati da i libri di Delillo. Non perché si sia di fronte ad un capolavoro inevitabile della letteratura moderna, quanto piuttosto per il suo modo unico di interpretare e leggere l'essenza dei tempi moderni in molti modi. In Il Silenzio (Einaudi, 2021) all'umanità appena sfuggita al coronavirus tocca un altro evento di portata storica: il blackout tecnologico. Grande merito, la grazia prosistica dell'autore americano non si ferma sullo stupore dello sfaldamento di un mondo, non descrive la meccanica tecnica di una catastrofe né l'analisi geopolitica delle sue conseguenze, ma, quasi in una parabola decrescente dall'immensamente grande all'infinitamente piccolo, come in ogni tempo di crisi, si ritira nell'individuo. Ne descrive il decadimento e l'annichilimento individuale, la decadenza e l'apocalissi che un blackout tecnologico implica e che ha sempre implicato per la nostra civiltà. Il riflesso di un mondo che muore nelle digressioni conscie e inconscie dei sei protagonisti. Le loro reazioni di difesa, di evasione, di stasi, di furore complottista e di depressiva rassegnazione marcano i connotati della portata totalitaria dell'evento. E tuttavia, l'apocalisse di Delillo implica e in un certo senso schiude un mondo impossibile verso il quale tendere, quello heideggeriano dell'uomo separato dalla tecnica, dove l'uomo sembra inverare se stesso. Nel togliere orpelli e accessori, infatti, e sfogliando i cybercostrutti di cui siamo costituiti, Delillo sembra forse suggerire che riusciremmo a trovare l'uomo autentico, l'umano originale, quello dei pensieri inconsci e preconsci.

Don Delillo
Nei deliri dei suoi personaggi, Delillo sta forse implicitamente ammettendo che il destino dell'uomo è scindibile da quello della tecnica, che qualcosa di umano rimane nella babelica caduta della tecnologia. Pur nell'incantamento a cui si rimane ancorati e condotti dalla sua prosa, è comunque necessario condurre qualche considerazione. In prima istanza, attraverso l'espediente del blackout quella che conduce l'autore americano è un'operazione di demistificazione e di ritrovamento archeologico, arrivare al destino vero dell'uomo oltre la tecnica, quello separato da essa. La tecnologia oscilla tra credenza fideistica e l'ordine logico che dà forma ai nostri pensieri e al nostro linguaggio: "dov'è la fede nell'autorità dei nostri device sicuri, delle nostre capacità di criptaggio, dei nostri tweet, dei troll e dei bot. ogni cosa nella datasfera è soggetta a distorsioni o furti? E a noi non resta che starcene seduti qui e piangere per il nostro destino?". Si noti quanto questo sia simmetricamente lontano dalle distopiche versioni dell'apocalisse di Lem o di Bradbury, per i quali tecnica e robotica non sono altro che le mani con cui l'uomo non cessa di stringere il proprio collo. Per quest'ultimo, in esatta antitesi a Delillo, l'universo robotico che sopravvive nella meccanica di ingranaggi che governa la casa alla fine del mondo è una sopravvivenza dell'uomo dopo la morte dell'uomo. Per questi autori, quindi, è la tecnica l'inveramento dell'uomo e non c'è niente al di fuori di esso, lo stesso conteggio del tempo può essere eseguito solo e soltanto attraverso mezzi tecnici, e non è quindi possibile un tempo che collassa, o un tempo pre- o post- evento. Pur nel dubbio e per non rimanere recondito espositore di teorie, sono più incline a dar ragione a questo tipo di autori che a Delillo, il cui intento mi pare animato da uno spirito heidegherriano di mistica redenzione dell'umanità dalle catene del negativo (tecnica), in cui però, l'attività di scavo rischia di portare ad una parola vuota che non prescrive nulla e ad uno schermo nero in cui non si vede niente. Alla fine de Il Silenzio, infatti, non resta che l'uomo che riflette sui propri strumenti perduti, quindi una sorta di terribile nostalgia, piuttosto che un'alterità radicale.

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