Giuliano - Gore Vidal

"Mio secolo, mia belva, chi potrà
guardarti dentro gli occhi
e saldare col suo sangue
le vertebre di due secoli?"

Osip Mandel'stam




Nietzsche scrisse nelle considerazioni inattuali che appartiene veramente al proprio tempo chi sa leggere "come un male, un inconveniente e un difetto, qualcosa di cui la sua epoca va giustamente orgogliosa", nessuno come il Giuliano Augusto di Gore Vidal, o Giuliano L'Apostata per come è passato alla Storia (o meglio giudicato dal tribunale della Storia), in questo senso, è più contemporaneo alla fase della decadenza dell'Impero romano e ne segna il tragico trapasso nella parabola della sua storia. Giuliano è, infatti, proprio conosciuto dai più come l'imperatore che contro il proprio tempo cercò di rinfocolare e dare vita agli antichi culti pagani. Sulla sua parabola, lo scrittore americano Gore Vidal è riuscito brillantemente ad aggiungere una congerie di destini di soldati, generali, consoli e imperatori segnati da brillanti ascese, quanto da improvvisi rovesci, e soprattutto il contorno di una società sull'orlo del disfacimento, attraversata da crisi inemendabili e contraddizioni insanabili, abituata ormai a scaricare sui conflitti esterni le difficoltà interne. 
Alla morte di Costantino, l'Impero è un vulcano che minaccia di eruttare da un momento all'altro. La progressiva svolta orientalizzante, insieme alla scelta di porre il Cristianesimo quale religione di stato marcarono segnatamente l'epoca e prepararono la catastrofe futura. Quell'omogeneità dell'impero costantiniano era destinata a sfaldarsi ben presto in un crogiolo di tribù barbare al nord, di nostalgici di riti pagani in Italia, ma anche nelle fratture di un credo cristiano tutt'altro che uniforme, ne è la riprova la disputa tra ariani e atanasiani sulla natura della trinità che attraversa tutto il IV secolo. In questa sorta di percorso e di rotta verso cristianizzazione e orientalizzazione, si abbatte su Roma, Giuliano. Uso non a caso il verbo abbattersi, perché il suo avvento appare la manifestazione di un destino abortito che sarebbe potuto inverarsi, una specie di sliding doors della Storia, una sorta di folgore che avrebbe potuto cambiarne il senso e la direzione. O forse, e tutto qui sta la grandezza tragica del libro di Vidal, i pesanti ingranaggi e macchine della storia cozzano sempre e inevitabilmente contro tutte le velleità umane e non si può che fallire miseramente se ci si oppone ad esse.
Ripercorriamo il destino del giovane Giuliano i suoi dissidi con l'ingombrante fratello Gallo e poi con il cugino imperatore Costanzo II, e niente della frase di Seneca "ducunt volentem fata, nolentem trahunt" (il destino guida chi lo segue di sua volontà, chi si ribella lo trascina) ne descrive meglio la parabola. La sua ascesa appare così tanto il connubio perfetto di fortuna, abilità e volontà. Questo è tanto il racconto di una promessa di un'era di prosperità, una luce dell'avvenire, quanto quello di uno scacco e del fallimento che coglie inevitabilmente chiunque tenta di ergersi e lottare intempestivamente contro il proprio tempo. "La luce si è spenta con Giuliano. Ora possiamo solo lasciare che venga il buio, e sperare in un nuovo sole e in un altro giorno, nato dal mistero del tempo e dall'amore dell'uomo per la luce", le ultime righe di Libanio colgono tutta la parabola del valore di un'esistenza impiegata coraggiosamente contro il proprio tempo. Per questo la figura di Giuliano afferra e riporta su di sé tutti i connotati problematici della storia romana. Giuliano Augusto illumina la porzione d'ombra, una faglia nella storia che smette di scorrere. Già ma quanto di questo è proprio del personaggio e quanto di ciò è dovuto all'abile costruzione narrativa di Vidal? La stessa struttura organizzativa del romanzo storico è di per sè originale e allo stesso tempo geniale. Se infatti attraverso il medium del manoscritto lo scrittore riesce a conferire tutta l'aura della tragicità e dell'epos alla storia, le voci a commento dei maestri Libanio e Prisco, tolgono autoreferenzialità alla narrazione e ne demistificano la portata da tutti gli aspetti autoincensanti e autoassolutori, in un certo senso i loro pareri dalla posizione "onniscente" di chi conosce l'esito di tutta la vicenda non disinnescano, ma anzi arricchiscono la complessità della narrazione sulla quale intervengono. Giuliano sembra così oscillare nel crinale tra un anima persa che lotta per la propria salvezza e un ambizioso gerarca che cerca di guadagnare la propria testa sull'effige della moneta imperiale. Colui che cerca riparo nella filosofia di Platone, ma anche colui che va a morire nel deserto inseguendo il fantasma di Alessandro Magno, non accontentandosi di aver conseguito una vittoria strategica sui persiani. In uno sfondo di una contesa filosofica e morale di portata millenaria, l'inquietudine e l'ansia per la salvezza diventa ricerca e affermazione di sé. "Il suo male era lo stesso della nostra epoca" commenta Prisco a proposito della conversione del non ancora imperatore al culto del Sol Invictus, il male di continuare ad ingannarsi pur di non accettare che il proprio destino in fondo è quello di tornare al non essere. Proprio su questa faglia si mantiene per tutta la narrazione Vidal, facendo emergere gli aspetti grotteschi e farseschi dei culti a contrasto, ma allo stesso tempo curando di sottolineare quanto sia simile il loro comune sostrato e anelito ad allontanare ed esorcizzare l'abisso. Certo però, risolto in modo differente. Il cristianesimo e la valorizzazione dell'aldilà e della morte per riscattare e giustificare la vita rappresenta un potenziale destituente del modo di vita estetizzante romano, un lento veleno che ne attacca radici e tradizione. Se è vero che ogni culto è invenzione dell'uomo per allontanare l'abisso da sé per quanto possibile, quella di Cristo è l'invenzione più pericolosa perché trova lo scopo ultimo della vita al di fuori di essa, tuttavia come risponde laconicamente il filosofo Libanio a Giovanni Crisostomo, ogni produzione dell'uomo non può durare in eterno nemmeno quella di Cristo. Un uomo che muore in mezzo al deserto sapendo che il suo dolore, il suo fallimento e le sue velleità non saranno riscattati e giustificati in nessun aldilà, eleva coraggio e padronanza di sé oltre ogni limite, lui sì, riscatta tutti noi.

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