La città e le sue mura incerte - Haruki Murakami
Un ragazzo di diciassette anni si innamora di una ragazza di sedici. Lei scompare all'improvviso senza prevviso nè ragione. A questo punto la realtà del giovane adolescente si biforca quasi come in un racconto di Borges. Da una parte continua la sua vita ordinaria e borghese di impiegato, dall'altra si apre uno spazio sospeso tra sogno e simbolo e il protagonista diventa lettore di sogni nella città dalle mura incerte. Impossibile cercare una via razionale ad un universo intero che nasce e prospera dopo una perdita. Un territorio che si ricostruisce dopo un dolore racconta e trasfigura, non mira a descrivere, ma a trasformare e occultare nel profondo la ferita e la delusione e trasformarle in sogno, a proteggere il ricordo e allo stesso tempo a fare in modo che il suo effetto non faccia più male. E' la stessa impresa di Wong Kar Wai che manda il suo protagonista nel 2046 per ritrovare i ricordi perduti. Perchè si dice che niente cambia mai nel 2046. Ma nessuno sa se quel punto esiste veramente, perché nessuno è mai tornato.
Murakami con una prosa ipnotica e onirica ci porta ad una città alle cui porte gli unicorni muoiono e sanguinano in sacrificio. Un universo asettico. Più niente che sanguini o palpiti, lì con occhi nuovi il protagonista rincontra la giovane perduta, ma niente può essere come nella realtà: "Ti ho guardato negli occhi. Come se cercassi sul fondo di una fontana tra i monti. Tu non sei lei. Questo l'ho capito, ti ho detto. Qui tu non sogni, non ti innamori"
Quel ragazzo diventa adulto come un'ombra, rinunciando a vivere per 23 anni rimandando nel mondo la sua controfigura, esistere senza vivere. Alienazione e fuga dalla realtà. Fino a che non incontra nel mondo altre ombre, che hanno perso come lui ragioni per vivere nel mondo reale o che hanno trovato ragioni per prosperare nell'ombra e nel sogno. E' un tema questo che Murakami affronta spesso, la separazione tra il vero sé e la sua controfigura che continua ad abitare il mondo come un guscio vuoto.
Ecco dunque che di fronte ad un io tanto nascosto e alienato, l'idea che qualcuno possa immergersi nel nostro abisso e scavare nel buio è una speranza fragile, ma necessaria. Anche questo forse un archetipo ritornante in Murakami come "nel segno della pecora", quello del sacrificio di altri perduti, di altri sconfitti e alienati che rende possibile la nostra stessa salvezza. Così come noi, infine, abbiamo la possibilità di diventare il salvatore di qualcunaltro dalle sue mura di isolamento. Un'ipotesi poetica ed eroica insieme perché il più delle volte siamo tutti intenti a costruire mura incerte e fragili con il materiale della memoria e del desiderio perduto.
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