Il ritorno

"La via che conduce alla fine di tutte le cose è anche la via che conduce all'inizio"
(G. Scholem)

"Non avevo altra strada che questa, per rompere il tuo silenzio, non ricordo più nemmeno da quanto dura, fosse stato un giorno o mille, sarebbe cambiato poco, ogni parola è stata prigioniera dentro la mia testa. Ho rischiato di impazzire."
"Così hai deciso di trascinarmi nei tuoi incubi", rispose lei nervosamente, accettando in maniera implicita quella bizzarra giustificazione.

INTERZONE
La incontrai nella zona di interposizione tra la verità di ciò che era in mezzo ad una pista e il mondo falso e derivato che non lo era. La calma di un fiume scorreva dentro di me, sentivo distintamente il suo corso millenario. Quel dialogo, insieme al suo profumo di sale e ai suoi occhi neri di pece, sono oggi, le uniche cose che rimangono impresse chiaramente nella mia memoria labile.
Riportare la meccanica dei fatti però è cosa ben più difficile, il bianco e nero dei ricordi nasconde e rivela, scopre e seppellisce legami e nessi. Non so se l'oscurità dei fatti che mi avvio a narrare rifletta la complicata realtà delle cose, o se il mio essere parte in causa di esse ne deformi fino all'inestricabile la loro semplice essenza. Sono davvero sicuro di tutto ciò che sto per riferire? Se questa narrazione non fosse necessaria al destinatario cui si rivolge, mi sarei di certo rifiutato di giocare con queste righe ripugnanti che nascondono un crimine. Un delitto tanto profondo che, però, è il fondo su cui poggia la salvezza medesima.

(L') INIZIO DALLA FINE
Un uomo seduto al tavolo di un bar, attirò la mia attenzione. Portava una camicia di lino scollata, pelle slavata, grigio di occhi e di barba, quest'ultima di almeno cinque giorni. Mi sorrise con fare altezzoso, mi invitava a sedermi, avrei dovuto forse conoscerlo? Non mi pare, ma una forza oscura mi spinse, pur con ritrosia smaccatamente esplicita, ad accettare il suo invito. Il suo fare affabile e la sua familiarità mi lasciava sempre più perplesso. Non avevo mai dato questa confidenza ad uno sconosciuto, ma c'era un'aurea di confidenza e dimestichezza nel suo sguardo profondo e nei suoi gesti affettati. Mi chiamò col mio nome e mi chiese se avessi ancora l'abitudine di bere vermouth con ghiaccio, evidentemente doveva sapere chi fossi. La giornata era calda, afosa, la città moltiplicava l'umidità, tutto sembrava avere la consistenza di uno stagno. Non potevo farmi sfuggire la possibilità di una bevuta. Decisi che avrei sopportato la compagnia di questo sconosciuto che del resto non mi era meno estraneo delle conoscenze che avevo realizzato fino a quel momento in città. Non nascondo di essere mortalmente affetto da una curiosità civettuola, femminea a tratti e non sapere ciò che quest'uomo cercava da me era il più potente attrattore al momento. Non dovetti attendere molto in realtà.
"Credo questo sia suo..." mi disse all'improvviso, passando il polso inamidato della manica della sua camicia sulla barba bagnata dal vino. Ogni suo gesto anche il più repellente, era completato con una compostezza geometrica, che, insieme al suo tono lento e cadenzato, risaltava le parole che pronunciava. Tutto ciò che usciva dalla sua bocca assumeva una portata oracolare. "...Non si preoccupi gliel'ho conservato con cura e a tempo debito capirà cosa deve esser compiuto." A questo punto mi consegnò un pesante manoscritto, al tatto forse rilegato in pelle, quindi si alzò, e ancora con gesto misurato ed elegante si preoccupava di infilare la sedia sotto al tavolo, mentre nella prosecuzione dello stesso movimento infilava la sua logora giacca sbiadita. Poi si voltò e mi rivolse frasi del tutto incomprensibili, qualcosa come "Il cielo e la terra si rivoluzionano continuamente per compiere il ciclo delle stagioni, ma è la loro ripetizione che assicura il perseverare della vita organica" e ancora "non c'è rivoluzione che non segua una regola, o che non sia a suo modo necessaria". Mi disse anche che quando avrei raggiunto l'apice della potenza e del sostegno avrei conosciuto la regola per agire. Non diedi troppa importanza a quelli che considerai i vaneggiamenti di un vecchio ubriaco che parlava come un santone orientale, ma il libro che avevo tra le mani... quello sì, pensieri strani e annebbiati coinvolsero le mie membra. Un velenoso e tumultuoso fiume di lettere attraversava le pagine ingiallite che avevo tra le mani.
Era un antico tomo dal fascino enigmatico. Le sue copertine, i suoi bordi ormai usurati dal tempo, erano rivestiti da una pelle scura e levigata, che emanava un odore di muffa e avventura. I bordi delle pagine erano ingialliti e orlati di polvere, testimoni silenziosi di un'era trascorsa.
Quando lo presi in mano, potei percepire un leggero formicolio che mi attraversò le dita, come se il libro avesse una propria vita. La sua consistenza era sorprendentemente pesante, come se racchiudesse un segreto infinito all'interno delle sue pagine. I caratteri stampati sulle pagine erano scritti in una lingua sconosciuta, una serie di simboli complessi e misteriosi. Scrutai le pagine, sperando di decifrare il loro significato nascosto, ma ogni tentativo si scontrò con l'oscurità indecifrabile del testo.
Esso sembrava anche emanare una potente aura di potere e di pericolo. Sentivo che era più di un semplice oggetto antico; era un portale verso un mondo sconosciuto, un tesoro di conoscenze e segreti che potevano scuotere le fondamenta dell'Universo.
Ma a dispetto di quest'attimo di mirra bagnato di eternità, non ebbi molto tempo per leggere le proposizioni e osservare le rosse figure di quel manoscritto. Un enorme boato aveva infranto le vetrine del bar. Un attentato dei nichilisti, quei frocetti coi capelli dritti e i baffi disegnati, che si immolavano nei luoghi pubblici, carichi di esplosivo. La piazza antistante era avvolta dalle fiamme e dalla cenere. L'odore di carne bruciata mi dava la nausea. 
Fu lì che la vidi per la prima volta. Era in un angolo che faceva fatica a respirare stretta sulle sue spalle, in una canotta fluorescente, la afferrai con la mano con cui stringevo il libro, lo introdussi nella sua borsa per facilitare la nostra fuga e scappammo insieme verso il primo varco libero. Non cessammo subito la nostra corsa, una paura imperante, credo, fu ciò che ci impose di fuggire fino alla fine del fiato. A me stava bene. Mi parve di essermi assunto la responsabilità della sua salvezza e la preservazione delle sue forme.
"Stai bene? Che cosa è successo?" "Non lo so, c'era una persona che bruciava vicino a me" "Sì, ho visto due torce umane anch'io che si dimenavano in mezzo alla piazza", non diedi peso alla crudezza dell'affermazione, né a quanto essa fosse in contrasto con la missione che mi ero appena assunto, la sua tutela era anche morale, già le ricordavo il terribile trauma che aveva passato. Decisi di riaccompagnarla a casa. Lì sotto la abbracciai e la baciai due volte, le cinsi le dita intorno alla vita stretta, ne potei constatare l'incanto disarmonico del bacino, memorizzare la grazia dei suoi occhi grandi e neri, prima di scomparire nella via fumosa della condensa di ristoranti e caffè. 
Quando fui a casa non detti peso al fatto di aver dimenticato il manoscritto nella sua borsa. Avevo deciso che me ne sarei occupato solo il giorno successivo, ero stanco e ancora fatalmente inebriato dal contatto con lei. Non pensavo a nulla meno che alla forma del suo bacino, al suo viso rotondo, annerito dalla foschia mortifera della bomba, una sottile linea nera che partiva appena sotto il suo zigomo, quella notte nella mia testa si confuse con quella sinuosa delle sue spalle che conobbi per prima. E poi ancora le linee nere del libro, in una regressione terribile, fino ai segni degli alfabeti sconosciuti e ai codici precivili di linguaggi lontani, sino all'agognato nero profondo, quello assoluto che solo annienta e pacifica.


SA DE(L)LA  POLICE
L'indomani, con mio totale sgomento, scoprii dal giornale che ero ufficialmente ricercato dalla polizia per l'attentato nella piazza della capitale. Il mio nome e una mia vecchia foto, con dei brutti occhiali neri che non portavo più da anni, campeggiavano su tutte le bacheche e riviste cittadine, non potevo nascondermi, nonostante quei terribili occhiali, mi avrebbero trovato ovunque. Ero investito dalla rabbia, di nuovo solo e perso. Non potevo tornare da lei, rischiavo di coinvolgerla in questa brutta faccenda. Avrei dovuto chiarire la mia estraneità al primo presidio della pubblica sicurezza. Ci andai, convinto che le cose potessero rimettersi nel giusto binario.
Una strana cordialità e gentilezza circondava l'aria del commissario, un uomo di mezza età dalla faccia scomposta e i capelli impomatati all'indietro, con un'affettata e spiccata gestualità mi prese in carico. Non c'era alcuna ostilità nel suo modo di fare, giocava con una biro, se la passava tra le dita senza tormento, lo interpretai come l'evidenza di aver braccato un innocente. Lì per lì mi rassicurai sul fatto che tutto ciò non dovesse essere altro che una gigantesca messa in scena, orchestrata ad arte per tranquillizzare l'opinione pubblica. 
"Mi aspetto che ci dica la verità, senza giri di parole."
"La verità? La verità è che non so nulla di quel libro né di quelle bombe scoppiate in città."
"Eppure le prove puntano tutte a lei. Potrebbe fare di meglio che una semplice negazione... Vede, non può funzionare... abbiamo ragione di credere che quel suo libro, non sia semplicemente un libro. Sì, insomma, ecco intendiamoci... Noi non siamo tanto retrogradi da essere contro la cultura in sé, tuttavia, secondo noi, lì dentro c'è una minaccia reale per la felicità e la sicurezza della nostra società, anche se non sappiamo cosa nasconda con precisione."
"Non so di cosa parliate, ho ricevuto quella carta straccia da un vecchio al tavolino di quel bar dove è scoppiato l'ordigno, non ho avuto neanche il tempo di leggerne mezza riga e comunque non è più nelle mie mani". 
"Lasci stare le giustificazioni... E’ importante che lei ci consegni il codice per accedere all’informazione. Non possiamo lasciare una bomba atomica inesplosa dentro il cuore della capitale. Mi capisce anche lei, sia ragionevole”.
"Non capisco deve esserci uno sbaglio" replicai sottovoce, poi prendendo tutta la forza:
"Ma è solo un libro di cosa state parlando?"
La finzione proliferava. Volevano lei. Stavano cercando di deviare il mio cammino, stavo consegnando la donna a cui non avevo smesso di pensare da ieri ai loro appetiti voyeuristi, mi parve di essere scivolato dentro un incubo orgiastico di guardoni impotenti che mi tormentavano per nutrirsi dei miei intimi desideri. Qualunque cosa rappresentasse per loro quel manoscritto, non potevo lasciare che lei finisse nelle loro mani. Sentivo il fiato sul collo della legge, essa aveva a che fare con la storia del libro, ormai non potevo più nasconderlo. 
Dissi comunque che avrei provveduto a consegnarlo nello stesso giorno, per guadagnare tempo. Il commissario senza venire meno alle note di stucchevole cordialità che aveva già dimostrato, disse che quanto a quello non avrei dovuto preoccuparmi, e che il libro era già in mano loro. Quello che serviva loro era il significato.

NOI SIAMO IL LINGUAGGIO

Avevano anche lei insieme al libro. "Posso vederla? Lei non c'entra nulla con questa storia... Ho messo io il libro nella sua borsa per allontanarci da quel disastro" temevo di essermi scoperto, rivelando troppo presto il mio punto debole, di certo avrebbero premuto ancora su di esso per estorcermi tutto ciò che era di loro interesse, non solo non mi importava più, ma realmente non riuscii davvero ad elaborare alcuna strategia per uscire da quel vicolo cieco. "Tempo al tempo, sicuramente potrete vedervi...” rispose un uomo in alta uniforme uscendo dall’ombra… “ma come le abbiamo detto abbiamo bisogno della sua massima collaborazione". Non mi aspettavo miracoli, evidentemente per le autorità non si poteva rompere il protocollo, eravamo pur sempre due sospettati di strage, tuttavia avevano urgenza di rompere l'ambiguità di quei segni, ne dipendeva l'integrità e la sicurezza del loro mondo, poi, forse, ci avrebbero lasciati andare. Mi si chiedeva ancora uno sforzo di comprensione, non sapevo come sarei riuscito a dar loro quello che volevano, ma dovevo far mostra di docilità e dimostrare di credere alle loro finzioni. Manifestai la volontà di cedere su tutto. Mi chiedo ancora se fui davvero tanto credibile. Pensavo a lei. Ritrovarla era una priorità che poneva tutto il resto in secondo piano.

"Va bene, portatemi quel libro e vi dirò tutto ciò che volete sapere."
Quando mi venne portato il volume, rimasi per un po' in attesa di una soluzione dall'alto. Poi mi feci forza e cominciai a sfogliarlo. Non riuscivo a capire quegli strani geroglifici di cui potevi constatare il peso, l’essenza intima, la fascinazione, senza essere mai vicino a penetrarne mai il mistero, parole e significato si rincorrevano sempre in contrasto. Era come se l'intricata matassa dovesse essere sbrogliata da una precomprensione delle strutture archetipiche che la rendevano possibile. Avevo sempre più la sensazione che qualunque fosse la lingua di quel libro, essa dovesse essere patita e sperimentata piuttosto che tradotta.
Ero ad un crocevia decisivo, e quanto più mi approssimavo a comprendere quel sistema arbitrario di segni, tanto più si accresceva il dolore. Erano pagine di fuoco, una sofferenza oltre tutto ciò che un sistema di segni comune avrebbe mai potuto riportare, eppure che dura e si ripete dall'inizio dei tempi: l'angoscia di un uomo che aveva perso una donna.
Le fiamme erano dentro e fuori di me ormai. I nichilisti avevano attaccato anche il commissariato. Sapevo dove andare, quel codice di segni mi spingeva là, fino a redimere un torto antico e a ripetere un'azione che avevo già compiuto. Non mi sorpresi di trovarla ancora seduta nella stessa posizione in cui l'avevo conosciuta, tra le lingue di fuoco più ardenti, ma non provavo più dolore, solo sollievo. La presi ancora sotto la mia spalla, col libro fra le mani, fuggimmo ancora una volta correndo. I miei piedi faticavano ancora una volta a stare dietro ai miei sogni.
Compresi il legame che intercorreva tra il libro e gli attentati. Ogni volta che avevo provato a sfogliarlo, ne era avvenuto uno. La solerzia del comandante, mi aveva palesato la paura della polizia per le fondamenta marcescenti dello Stato, della Famiglia e di tutte le nostre merdose istituzioni. Precarie e incerte palafitte che si ergevano sul vero sostrato composto di Sofferenza e Caos. 
Era loro ferma intenzione che l’arbitrarietà delle regole sintattiche e delle norme della convenzione spaziale e temporale non venissero scardinate dalla rivelazione. Il libro alla fine non narrava un bel nulla, era solo una guida, un medium: l'unica e impervia strada che avrei dovuto compiere per far rincontrare qualcuno in un altro spazio - tempo, due giovani che si erano separati per sempre dopo un incendio. 
Le cose non potevano rimanere annientate per sempre. Nell'interzona ripetemmo ancora la nostra conversazione, non ricordo nulla oltre ciò, se non la sensazione che tutto sarebbe ricominciato presto dall'inizio ancora una volta, come in un ciclico eterno ritorno. "Quando il cielo delle aspirazioni che sta in alto è completamente sgretolato, esso ritorna e si ricostituisce sotto la traccia principale", in un lampo mi ricordai le ultime parole del vecchio del bar.
Non c'era nessun simbolo, né sublimazione, era una faccenda in cui l'orgoglio volava via dalla finestra. Avevo percorso una strada polverosa e impervia, avevo balbettato le parole dei profeti e il linguaggio della mistica, giurato nell'assoluta ambiguità di atti dichiarati e mai avvenuti, il libro era la corporea incarnazione della distanza tra il niente e il qualcosa. Alla fine, l'esasperata deriva di un naufrago in balia di un'ultima parabola, un'ultima onda che lo potesse condurre fortunosamente di nuovo a stringere quei fianchi e baciare di nuovo quelle labbra.

LA SALVEZZA
C'era ancora un'ultima cosa da fare. Incontrare il vecchio del bar, lui che una notte era vigliaccamente scappato dall'abitacolo di una macchina in fiamme e l'aveva fatto senza la donna che amava, avrebbe trovato il coraggio di trascrivere sulla pagina bianca il tragitto per trovarla e sottrarla alla morte. A lui spettava l'incombenza della scrittura di un libro incendiario, l'unica cosa, a questo mondo, in grado di porre fine alla morte e prolungare il morire, qualcosa che somigli vagamente a ciò che i più chiamano beatitudine. 
A quel vecchio il fantasma di fuoco di quella donna doveva ricondursi in forma eterea, come si può presentare quella bellezza tragica che sola può conferire all'ombra un corpo e, con essa, la possibilità dell'eternità. La sua penna sarebbe riuscita a compiere quell'azione che nella realtà il vecchio non era mai riuscito a sostenere, affogandola ogni giorno nei bicchieri di un desolato bancone di un bar.
Così, scampato alla morte, nell'armonica contemplazione del suo senso di colpa e dei suoi fallimenti, solo e quasi ubriaco al tavolino di un bar, avrebbe finalmente potuto operare il raccolto tragico di un cielo di sogni ormai sgretolato e affidarlo a me, un modesto comprimario nell'economia della sua enorme battaglia.

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