Atlantide - Yuri Ancarani

«Ti ricordi il nostro patto?»

«Più o meno.»

«Abbiamo promesso di non abbandonarci mai.»

«Mai e poi mai?»

«Mai e poi mai.»:

(Gaspar Noe, Enter the void)

atlantide



Laguna veneta. L'acqua cheta, salmastra è la stessa che racconta la storia di un'arcana alleanza, rievoca stancamente gli antichi fasti dello sposalizio col mare che partoriva le veloci galee e i portentosi vascelli dell'arsenale che andarono ad incendiarsi a largo di Lepanto. Eppure questa non è la storia di un dominio, non il fulgore o l'acme della conquista dell'adriatico della vecchia repubblica marinara, quanto la cieca voluttà di pezzenti del mare che giunti troppo a largo, non trovano più la terra ferma e niente di saldo sotto i loro piedi. La gioventù veneta di Ancarani è composta di ragazzi esangui ed imberbi, che diventano tutt'uno col loro mezzo che solca la laguna, sfoggiano le luci abbaglianti dei loro scafi, le eliche metalliche dei pezzi dei motori rombanti, si lanciano in ardimentose parabole nella palude veneziana per evitare la finanza, fumano e pippano, tutto in movimento, tutto troppo lotofagicamente sospeso. La vita dei giovani veneti è la palude dell'immobilità e della degradazione. 

Atlantide
Niente della grande Venezia colpisce l'occhio dello spettatore, perché la vita organica vera, l'humus che frigge, la piaga che marcisce, la tocchi solo ai bordi. Come corpi che si accrescono e lentamente si degradano e si scompongono e diventano merda acquistano forse nuove potenzialità. Nuovi costumi e nuovi rituali emanano da quell'umanità ai margini, nuove luci accendono le loro folli corse all'orizzonte. Nuovi modi di sentire e di amare promanano dai loro corpi scarni. Saltuariamente una vecchia nave da crociera sovrasta Venezia e incrocia il cinico destino dei giovani della palude, così poco interessati al centro vitale della città turistica, e così protesi verso la velocità e la morte nella Laguna. Eccolo uno di essi nascere, amare, sognare e scopare a bordo del suo scafo potenziato, ferito, presto disilluso, ingannato dalle promesse dell'amore, cancellare il nome di lei dalla barca e lanciarsi in una sfida mortale. A Venezia un vecchio legno è caduto nella laguna, ha fatto un rumore sordo che nessuno ha sentito, un giovane che pochi conoscevano ha urtato quel vecchio legno con la sua barca a tutta velocità ed è morto. Ma forse a Venezia non tutto cade, muore e si scompone, forse non tutto è perduto e qualcosa si salva a Venezia. Yuri Ancarani le redime quelle anime perse. Dopo 1 ora e 30 di cupo nichilismo, morte e disinganno improvvisamente accade lo spettacolo di una lenta marcia rituale di quegli scafi dentro la vecchia città segnata dal tempo, che assurge ad una prospettiva di liberazione e salvezza. Qualcosa che per la prima volta dopo tanto tempo ha riacceso dentro di me lo spettacolo unico di Enter the void. Il regista traghetta quelle anime tormentate, novello Caronte, in un lento movimento, sotto i ponti veneziani, dalla notte fonda all'alba arancione, attraverso quelli che con un gioco di riflessi appaiono portali astrali verso una nuova dimensione: quella dell'arte, l'unica in grado di conservare e rendere immortale tutto l'amore e la sofferenza di questo mondo.

Commenti

Post più popolari