L’omicida

L’assassino cominciò a prendere coscienza lentamente di tutte le sue membra camminando da una parte all’altra della stanza, fissando il tavolo al centro. Sopra un centrino sbiadito il grande dipinto. Si avvicinò ad esso, esitò nel toccarlo, avvicinò i suoi arti alle concrezioni cromatiche, ne mimò le forme flessuose. Inumidì le labbra, l’afa era insopportabile, un’occhiata ancora all’orologio, ancora le otto e trenta, era perfettamente nei tempi.
Afferrò allora un vecchio scalpello e un martello dal manico di legno, si avvicinò alla finestra sul retro, batté cinque colpi sordi prima di far uscire il vetro dalla guaina, raccolse il vetro appena scalfito e lo dispose davanti la finestra. La via di fuga era tracciata. Ancora uno sguardo al dipinto, e portò le dita alle tempie, chiuse gli occhi solo un secondo, li riaprì e si diresse verso la cucina. Si sedette su una sedia appoggiando le mani sul tavolo agitando i pollici, nervosamente. Attese pazientemente. Sapeva cosa fare anche se non immaginava per niente cosa sarebbe successo dopo. Obbediva ad una sorta di istinto primordiale, un ordine impersonale che lo sovrastava. Un ragno non sa nulla della mosca che segretamente brama, eppure costruisce la tela in sua funzione. Ora, nella penombra di una sporca cucina di un appartamento di periferia, un omicida aspettava la sua preda senza conoscerne le fattezze.

L’attesa senza tempo che l’aveva privato del mondo era finita, distinti passi si avvicinavano alla porta. La preda era vicina, ne sentiva nitidamente il respiro affannoso.
Entrò claudicante dalla porta il vecchio pittore, l’azione fu rapida, quasi indolore. L’assassino iniettò tutto il veleno nella spalla scoperta, premendo con forza uno straccio sulla bocca dell’uomo, che si lasciò cadere, corpo esausto, come un manichino divelto. Quando gli ispettori di polizia, l'indomani, arrivarono nella stanza gialla dei primi raggi di sole, non faticarono ad annoverare il delitto tra la sequela di rapine finite male che attraversavano ogni giorno la città. Ipotizzarono che l’assassino non volesse uccidere e, forse spaventato, avesse poi lasciato l’immensa tela a terra vicino al corpo del suo autore, andandosene via quanto prima.

La magnifica opera attrasse lo sguardo di tutti agenti: sul dipinto i lunghi fili di una ragnatela, tra una parete bianca e un orologio che segnava le nove, imprigionavano un insetto nero che dimenava ancora i suoi minuscoli arti. Non c’era traccia del ragno.

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